Il 6 gennaio scorso presso l’arca che ne custodisce il corpo, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, alla presenza del Maestro dell’Ordine Domenicano, fra Francisco Gerard Timoner III (87° successore di san Domenico) è stato aperto l’Anno Giubilare per ricordare Domenico, l’uomo “tutto di Dio, padre dei predicatori". A tavola con Domenico, il tema del Giubileo, vuole essere l’invito ad accogliere la comunione di vita, la condivisione dell’ideale cristiano e di vita apostolica, per riflettere sull’essenziale che si trova in una tavola (il pane e il vino, cioè la Parola di Dio) che sostiene e che rallegra la nostra esperienza umana e di fede.
Per alcuni aspetti, san Domenico è l’uomo dei paradossi, infatti è considerato: italiano in Spagna (visse e operò per la maggior parte della sua vita in Francia e Italia) e spagnolo in Italia. Dai suoi contemporanei viene descritto come colui “che in tutto era uomo del Vangelo”, altri lo ritengono “fondatore dell’Inquisizione”; nella realtà, non solo si dissociò, ma condannò l’azione violenta nella Crociata guidata da Simone conte di Monfort (Humbert Vicaire).
Ritenuto il fondatore di un’Ordine di “teologi e filosofi, intellettuali ecc.), ma non ha lasciato niente di scritto: memorie, trattati, regole; disse che la regola da cui aveva imparato tutto, era il libro della Carità. Il beato Alano de La Roche (o della Rupe) racconta di 15 promesse fatte a lui dalla Vergine Maria e, di conseguenza, ai devoti e diffusori del Rosario. Come pure, avesse consegnato Lei la corona del Rosario a San Domenico “fondatore del Santo Rosario”. Ma nei primi secoli, san Domenico non viene mai raffigurato con il Rosario in mano, ma sempre con il Vangelo. Sia ben chiaro. San Domenico ha utilizzato gli episodi principali del Vangelo (compresi quelli raccolti nel Rosario) nella sua predicazione, ma la preghiera così come la conosciamo non l’ha pensata San Domenico. E’ frutto della sua spiritualità “contemplare-pregare-studiare-predicare”, ma venne codificata da San Pio V e più recentemente da San Giovanni Paolo II. Il merito dei Domenicani, semmai, è quello di aver “inventato, diffuso e sostenuto” questa “scuola e sintesi del Vangelo”, quindi facile da imparare e da insegnare a chiunque (soprattutto agli analfabeti), per insegnare loro le verità (i Misteri) principali della nostra fede.
Le caratteristiche di san Domenico, le conosciamo attraverso le testimonianze di coloro che a Bologna e Tolosa, deposero per il suo processo di canonizzazione. Per esempio il suo carattere “gioviale, accogliente, paterno”, che sapeva essere “duro come un diamante e tenero come una mamma”, infatti “era da tutti amato, perché tutti amava”. Un carattere “deciso” che ricorda il clima e la terra di origine: la Vecchia Castiglia nel nord della Spagna. Così, mentre studia a Palencia, di fronte alla peste che colpisce la gente, vende le sue preziose pergamene per dare il ricavato in elemosina e costituire una mensa per i poveri. Infatti: “non potevo studiare su pelli di animali morti, quando i miei fratelli che sono vivi, muoiono di fame”. Da farlo, apparire alle volte insolente, come quando risponde alle obiezioni del vescovo Folco, che non vorrebbe che mandasse i suoi primi frati a studiare a Parigi e a Bologna: “So quello che faccio. Il grano ammassato ammuffisce, seminato porta frutto”. Lui che governa le sue comunità, con il consenso dei suoi fratelli che è vincolante per le decisioni da prendere. Questo sistema di governo è stato poi ripreso dai sistemi presidenziali, per es. della Francia o degli Stati Uniti d’America.
Così il volto e la spiritualità di Domenico, non la troviamo nei suoi scritti, ma nell’opera dei suoi e figlie, consacrati/e e laici/laiche che lungo i secoli sono “dono di Dio alla sua Chiesa”: Tommaso d’Aquino “l’uomo dell’armonia fra la fede e la ragione”; Caterina da Siena, la mistica che parla e ordina al Papa, come ai politici: “siate virili”; Vincenzo Ferrer che “era un miracolo, quando non faceva miracoli”; Giovanni da Fiesole, il beato Angelico che “dipinge quello che ha visto nella contemplazione”; Bartolomeo De La Casas che per primo “rivendicò la dignità umana degli Indios”; Francisco De Victoria “padre fondatore del Diritto Internazionale”; San Martin dè Porres e Santa Rosa da Lima che “lottano per la dignità della persona”; Marie-Joseph Lagrange che viene esiliato per aver difeso “l’approccio storico-critico alla Bibbia”; Jean Joseph Lataste che evangelizza in carcere delle donne e fonda una congregazione di suore “tutte ex prostitute”; Giorgio La Pira “il sindaco santo di Firenze”; Bartolo Longo che oltre che diffondere il Rosario, fonda a Pompei “la città della carità per i piccoli orfani e abbandonati”; Dominique Pire, nobel per la pace, per “aver lavorato a favore dei rifugiati nel secondo dopoguerra”; Pierre Lucien Cleverie, vescovo di Orano che rifiuta di fuggire e viene fatto saltare in aria, con il suo autista musulmano: “se qui Cristo, muore, qui risorge, per me e per l’Algeria”; Pier Giorgio Frassati “il giovane delle otto beatitudini”.
San Domenico è “luce della e nella Chiesa” che, tutto ha posto al servizio della “causa del Vangelo” per la sua conoscenza. Per lui, non si tratta di difendere la Chiesa, ma far conoscere la Verità di Cristo, “la Carità della Verità”, conosciuta attraverso lo studio che, per lui è preghiera e contemplazione, da condividere poi nella predicazione.
Padre Giovanni Calcara