Adesso che i contagiati in Italia sono oltre 1 milione conclamati, probabilmente il triplo contando gli occulti, e che i medici hanno gridato: “Il re è nudo” facendo appello a Damiano dei Måneskin per spostare il concerto da 70mila persone in programma il 9 luglio al Circo Massimo a Roma, la contraddizione, sfuggita o sfuggita di mano alle istituzioni, è finalmente arrivata al centro del dibattito, con la voce di Marcello Pili, medico di base a Ostia che ha detto a Repubblica: "I grandi eventi sono stati delle bombe sanitarie. Tutti noi medici di famiglia abbiamo visto pazienti positivi reduci da Vasco e ora il virus circola ancora di più. Trovo il concerto dei Måneskin, in questo momento, una follia, rischiamo 20mila positivi in una botta sola". Ma ce n’è voluto.
Eppure da giorni bastava accendere un qualunque Tg e vedere i servizi alternarsi: da una parte la preoccupazione per l’ondata estiva in piena risalita e l’invito alla prudenza sempre più insistito da parte dei pubblici decisori (ma non sono mancati in questo senso messaggi incautamente rassicuranti, c’è anche chi ha sbertucciato l’invito alla prudenza del premio nobel per la fisica Giorgio Parisi che criticava numeri alla mano il precoce abbandono delle mascherine); dall’altra servizi che celebravano grandi eventi pubblici, dagli aperitivi superaffollati, ai concertoni gratuiti in piazza, raduni da decine quando non centinaia di migliaia di persone tutte ammassate senza un barlume di prudenza, salutati dalle stesse autorità cittadine come un ritorno alla normalità “dopo” due anni di Covid. Quasi che il Covid, per un imperscrutabile ghiribizzo di natura, avesse improvvisamente cessato di viaggiare come fa, attraverso le persone che respirano, parlano, cantano al chiuso o vicine vicine anche all’aperto. Quasi che non ci fosse nesso alcuno tra i numeri che crescevano, complice una variante ancor più diffusiva, da una parte e le folle che si radunavano dall’altra senza precauzione alcuna. Sul “dopo due anni” con ogni evidenza si poteva convenire, sul “dopo covid” con la stessa evidenza, guardando i numeri della ripresa in tutta Europa, molto meno.
I Måneskin in tutto questo sono un dettaglio, capitati soltanto nella coincidenza di aver programmato il concerto in una data che potrebbe coincidere con il picco dei contagi. Come tutti hanno fatto il consentito, si comprende meno la miopia di chi assisteva, e magari come autorità cittadina, regionale (stesso campo della sanità) o centrale, promuoveva con la mano destra gli eventi e con la sinistra invitava alla prudenza.
Ci sentiamo ripetere: la gente è stanca. Vero, siamo tutti sfiniti, ma è quanto meno incauto mandare il messaggio che la voglia di libertà alla fine prevarrà, quasi illudendosi che il virus possa averne riguardo. Nell’onore e nell’onere che ci si prende con il potere di decidere ci si prende anche la responsabilità di occuparsi del bene pubblico anche quando comporta decisioni impopolari. Tra un lockdown e gli assembramenti da decine di migliaia di persone senza precauzioni c’era un equilibrio che nessuno con ogni evidenza si è preso la responsabilità di cercare e assicurare.
Ora si vedono i risultati, ma in tutta onestà non si può dire che non lo si potesse prevedere. Il caso Portogallo insegnava già un mese fa. Ma l’errore che si fa è sempre quello: seguire la curva alla spera in Dio invece di interpretare in anticipo i segnali. Non è un errore senza prezzo, come ha ricordato brutalmente pochi giorni fa Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dell'Ordine dei Medici intervenendo a Bari al convegno 'Lo strano caso Covid, prevedere l'imprevedibile': "oggi (ai primi di luglio 2022) la nostra libertà ci costa duemila morti al mese".