Ci sono le luminarie, nel quartiere Appio Latino dove qualche giorno fa è stato ucciso Luca Sacchi. La festa della parrocchia San Giuda Taddeo, dall’altra angolo della piazza dove il ragazzo è stato assassinato, ha il tono del riscatto e dell’impegno. «Stare qui è un bel segno, qui ci ritroviamo noi che abitiamo in questo quartiere: i bambini, le famiglie, gli adulti, gli anziani, gli ammalati, i disabili, ci siamo tutti. E tutto il popolo santo di Dio che abita in questo quartiere si ritrova qui a celebrare l’eucaristia». Il vescovo ausiliare del settore Est di Roma, monsignor Giampiero Palmieri, presiede la messa e dà coraggio alla gente: «È così bello ritrovarsi a pregare in questa settimana in cui abbiamo sperimentato come questa nostra città è bellissima e faticosa, è luogo di vita ed è luogo di morte», dice pensando alla tragedia che si è consumata a due passi da qui. Il celebrare in piazza diventa «segno di grande speranza», un grido che i «piccoli e i poveri, che siamo noi, insieme a tutti i piccoli e i poveri anche non cristiani che abitano nel quartiere alzano verso Dio perché ci custodisca la speranza nel cuore». Si prega per tutti, si prega per Luca, «custodendo il bene, la pratica del bene, il pensiero del bene» e sapendo, sottolinea il vescovo, «che la città, nella stessa Bibbia, è un luogo ambiguo, che il primo fondatore di una città nella Bibbia è Caino che ha ucciso suo fratello, come Romolo e Remo. E non è un caso che la Bibbia ha questa idea: la città è un luogo di grande umanità, ma anche un luogo di grande violenza». Un luogo che può diventare luogo di morte, come è stato per Luca, in una città come Roma che è «così devastata dalla droga da essere diventata la capitale europea della cocaina e del riciclaggio di denaro sporco», denuncia monsignor Palmieri, ma che ha anche segni di speranza. Ne cita due: il sequestro a un clan condannato come mafioso di un grande parcheggio multipiano per auto di lusso oggi adibito a palestra per 1.500 ragazzi, 300 accolti gratuitamente, «perché bisogna togliere dalla strada i ragazzi per non farli finire, in cambio di pochi soldi, a fare da spacciatori». Nella “palestra della legalità” si insegna pugilistica e arti marziali, le discipline che, in quella zona, insegnavano i boss per creare i bulletti di quartiere. Oggi, invece, quelle discipline le insegnano i carabinieri, gratis, per creare cittadini onesti. L’altro segno è il secondo sequestro, allo stesso clan, di una sala da gioco oggi affidato a degli insegnanti e trasformato in un luogo di didattica per i ragazzi delle scuole superiori. Si può scoprire come funziona il gioco di luci fatto apposta per far concentrare lo sguardo sulle macchinette succhia soldi perché si perda la cognizione del tempo e si spenda il più possibile, si può entrare nella saletta dove le ragazze più carine venivano fatte prostituire per risarcire i soldi persi al gioco, si può apprendere di come si pagavano le vincite in contanti per riciclare i soldi sporchi. Un percorso che insegna ai ragazzi a non cadere nelle trappole. «Non vi racconto queste cose per mettervi tristezza» conclude il vescovo, «ma per dirvi che tutti questi luoghi che erano luoghi di morte sono diventati luoghi di vita, di speranza, dove i ragazzi sono educati a non entrare in questi meccanismi. Così deve essere la parrocchia, collaborando con tutti gli uomini di buona volontà, senza paura, senza rinchiudersi, senza rifugiarsi, senza proteggersi, ma piuttosto diventando propositivi nel quartiere per regalare a tutti quanti gioia, speranza».