(Foto Reuters: qui sopra, la premier Jacinda Ardern con una donna sopravvissuta al massacro. In copertina: durante una conferenza stampa a Christchurch).
«As-salamu alaykum», la pace sia con voi: con la tradizionale espressione di saluto del mondo arabo la premier neozelandese Jacinda Ardern, 38 anni, ha esordito nel suo discorso tenuto davanti al Parlamento, a pochi giorni dal massacro nelle due moschee di Christchurch, in cui hanno sono state uccise 50 persone, per la maggioranza immigrati, fra cui anche rifugiati. «Quel venerdì», ha dichiarato la prima ministra, «è diventato il nostro giorno più buio».
La Ardern si è rivolta alla comunità musulmana, alle persone colpite, con un messaggio di vicinanza e inclusione, sottolineando che “sono cittadini neozelandesi, loro sono noi”. E ha aggiunto: «Noi non possiamo conoscere il vostro dolore, ma possiamo accompagnarvi in ogni passo. Noi possiamo, e vogliamo, circondarvi con i nostri cuori».
Ci si domanda, afferma la premier, come sia stato possibile che un atto del genere sia accaduto qui, «in un Paese orgoglioso di essere aperto, pacifico, basato sulla diversità. Ci sono molte domande che necessitano una risposta». E ha ricordato che la legislazione sulle armi dovrà essere modificata.
Nel suo intervento la premier ha compiuto una scelta importante: ignorare il nome della persona responsabile dell’attacco, con una ragione ben precisa. «L’attentatore cercava notorietà», ha spiegato la prima ministra, «ed è questo il motivo per cui non mi sentirete mai pronunciare il suo nome. E’ un terrorista, un criminale, un estremista, ma nel mio discorso rimarrà senza nome. Cercava notorietà, ma qui, in Nuova Zelanda, non gli concederemo niente, nemmeno il suo nome».
La Ardern ha voluto ricordare, in particolare, la figura di Daoud Naby, il primo ad essere ucciso nella moschea Al Noor, il 71enne ingegnere in pensione immigrato dall'Afghanistan che aveva ricevuto all'ingresso della moschea l'attentatore, rivolgendosi a lui con un saluto di benvenuto: “Hello brother", salve fratello. «Siamo un Paese di 200 nazionalità, 160 idiomi differenti, noi apriamo la porta agli altri e diciamo “benvenuti”», ha dichiarato la premier. «E l’unica cosa che ora dobbiamo cambiare è che dobbiamo chiudere le porte a chi arriva per portare odio e terrore». E ha aggiunto: «Desideriamo che ogni membro della nostra comunità si senta sicuro. Sicurezza significa essere liberi dalla paura della violenza».
Infine, un appello all’intero Paese: «Il prossimo venerdì sarà passata una settimana dall’attentato. Membri della comunità musulmana si riuniranno per pregare in quel giorno. Sosteniamoli nella loro celebrazione. Noi siamo una cosa sola, loro sono noi». Concludendo con un saluto nella lingua indigena maori “Tatau tatau” e di nuovo con il saluto in lingua araba “A voi la pace, la misericordia di Dio e la sua benedizione”.
La Nuova Zelanda, profondamente scossa dal terribile attentato terroristico, non cede davanti all’odio integralista, razzista e xenofobo e conferma la sua tradizione di apertura, dialogo e integrazione stringendosi intorno alla comunità islamica colpita. We are one, ha detto la Ardern. Siamo uniti, una cosa sola, senza differenze tra etnie, culture, religioni. È la frase che nei giorni successivi alla strage è comparsa nei messaggi deposti nei luoghi colpiti accanto a fiori e candele. Nei giorni scorsi, anche i rappresentanti dei nativi maori hanno partecipato alla commemorazione delle vittime. E alcuni gruppi di studenti hanno eseguito l’haka, la famosa danza rituale maori, come tributo nei confronti dei fedeli musulmani che hanno perso la vita nelle moschee.
Leader del Partito laburista neozelandese, entrata in Parlamento nel 2008 (a 28 anni), quando è stata eletta premier nel 2017, a 37 anni, la Ardern ha conquistato il record della donna più giovane al mondo alla guida di un Governo. Per lei anche un altro primato: diventata mamma a giugno del 2018 di una bambina, Neve Te Aroha, è stata la seconda donna - dopo Benazir Bhutto in Pakistan nel 1990 - a dare alla luce un figlio durante il suo mandato da premier. Rientrata al lavoro dopo sei settimane di congedo maternità, ha suscitato scalpore, e segnato un altro momento storico, quando lo scorso è arrivata all’assemblea generale delle Nazioni unite perfettamente a suo agio e sorridente con tutta la famiglia: il compagno Clarke Gayford e la loro bambina di tre mesi.