Chi comanda in Algeria? Negli ultimi vent’anni gli algerini hanno dato due risposte: “le pouvoir” oppure “la mafia”. Dette proprio così, usando la parola francese e quella italiana. Il senso non cambiava. I due termini servivano in ogni caso a indicare una cupola di burocrati, militari, affaristi, personaggi legati ai servizi segreti avvinghiati al potere. Non poteva durare a lungo, ma è durata fin troppo. E in questo inizio di 2019 gli algerini hanno rialzato al testa e detto finalmente “basta”.
Quando il presidente della Repubblica Abdelaziz Bouteflika, in carica dal 1999, ha annunciato che si sarebbe candidato per un quinto mandato nelle elezioni fissate per il 18 aprile, la maggioranza degli algerini ha reagito scendendo in strada con manifestazioni imponenti che hanno richiamato alla mente quelle delle “primavere arabe” del 2011.
Bouteflika, 82 anni, è da tempo malato (di fatto è fuori gioco dal 2013, quando fu colpito da un ictus), si muove su una sedia a rotelle, non parla in pubblico, passa molto tempo all’estero per farsi curare. Chiaramente Bouteflika non è in grado di guidare il Paese, in mano invece a “le pouvoir”. Dopo settimane di proteste e di manifestazioni alla fine Bouteflika si è arreso (o “lepouvoir” lo ha fatto arrendere) e lunedì 11 marzo ha annunciato che non si ricandiderà, annullando però le elezioni di aprile. L’annuncio è coinciso con un rimpasto di governo (il nuovo primo ministro è Noureddine Bedoui) e con la decisone di svolgere una conferenza nazionale per gestire la transizione politica, in vista di una nuova Costituzione e di nuove elezioni. Sarà un processo lungo e delicato, ma la scelta di un esperto diplomatico come Lakhdar Brahimi alla guida del negoziato dovrebbe garantire anche i più scettici. Tuttavia molti algerini non si fidano, temono che la mossa di Bouteflika e di chi lo circonda sia solo l’ennesima mossa per prolungare la permanenza al potere, infatti le proteste continuano.
Ormai gli algerini chiedono non solo un cambio della guardia alla guida del Paese, ma esigono un cambiamento del sistema politico. Cinquantacinque anni dopo l’indipendenza l’Algeria è un Paese bloccato, sia a livello politico sia a livello economico, incapace di esprimere una nuova classe dirigente.
Bouteflika appartiene ancora alle vecchia guardia, ma l’età media dei 42 milioni d algerini è di 28 anni. In pochi ormai hanno memoria della guerra civile e dell’occupazione francese e sbiadisce anche il ricordo del decennio nero dell’Algeria, gli anni Novanta del Novecento caratterizzati dallo scontro fra i terroristi islamici e le forze di sicurezza, uno scontro che ha provocato 200 mila morti. Bouteflika, arrivato al potere nel 1999, ha avuto il merito di gestire la transizione dopo gli anni di piombo, ma non ha offerto una visone del futuro agli algerini.
Intanto la situazione del’economia è peggiorata. La disoccupazione è all’11 per cento (ma è il doppio fra i giovani), il deficit è al 9 per cento del Pil e i prezzi del petrolio non sono abbastanza alti per garantire la sicurezza economica.
Il periodo che si apre è difficile, ma almeno rappresenta un segnale di svolta dopo anni di immobilità. Come dicono gli algerini, è il momento di augurare “Bon courage Algerie”.
(foto in alto: Ansa)