La Turchia continua a protestare per le parole di papa Francesco sul genocidio armeno, mentre in Vaticano non ci si preoccupa più di tanto. L’Osservatore Romano, nell’edizione di martedì, ha ignorato la notizia delle proteste di Ankara e non ha fatto nessun cenno al richiamo in patria “per consultazioni” dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede.
Le proteste turche, d’altra parte, erano state messe in conto dalla diplomazia vaticana. Lunedì mattina, appena l’ambasciatore turco è arrivato ad Ankara, l’ambasciata turca presso la Santa Sede ha pubblicato una nota molto critica, nella quale si alza il tono della protesta e si dice che parlare di genocidio degli armeni «è una calunnia»: «Il genocidio è un concetto giuridico, le rivendicazioni non soddisfano i requisiti di legge, anche se si cerca di spiegarle sulla base di una diffusa convinzione restano calunnie».
Domenica, subito dopo la Messa celebrata dal Papa per il centenario dello sterminio armeno, era intervenuto il ministro degli esteri e il primo ministro turco criticando severamente le parole del Pontefice. La presa di posizione turca viene letta soprattutto come una questione interna. Il prossimo 7 giugno si svolgono delicate elezioni politiche per il partito al potere, l’Akp, del “neo-sultano” Rayyip Erdogan.
I sondaggi indicano una erosione di voti consistente da parte dei nazionalisti dell’Mhp. Da qui la chiusura di Erdogan su tutte le questioni sensibili per evitare che l’emorragia di voti si allarghi.
Il genocidio degli armeni è riconosciuto dai Parlamenti di una ventina di Paesi. Il primo a riconoscerlo fu l’Uruguay nel 1965. L’Italia lo ha fatto con un voto del Parlamento nel 2001. In alcuni Paesi, tra cui la Svizzera e la Svezia, negarlo è considerato un reato.