Ci sono anche dei
protagonisti italiani negli scontri che stanno trasformando la
Primavera egiziana nell’Inferno del Cairo. Le forze di sicurezza
che stanno rimuovendo i sit-in dei manifestanti pro-Morsi a colpi di
centinaia di morti, forse anche donne e bambini, usano armi e
munizioni prodotte a Bergamo e Lecco.
«Ministro
Bonino, cosa deve ancora succedere in Egitto per sospendere l’invio
di armi italiane?»,
è la domanda chiara e semplice della Rete
Italiana per il Disarmo e dell’Opal (Osservatorio Permanente sulle
Armi Leggere)
di
Brescia.
Lo avevano già chiesto a fine luglio, quando i
lanci di lacrimogeni e gli spari sulla folla da parte degli agenti
antisommossa, appostati sui tetti di Alessandria e del Cairo,
avevano causato più di 80 vittime e centinaia di feriti tra i
sostenitori del presidente deposto.
Oggi,
dopo un tentativo di mediazione fallito, la situazione è
precipitata. Commenta
Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il
Disarmo: «Abbiamo
apprezzato la profonda preoccupazione espressa dal ministro Bonino
che nei giorni scorsi ha dichiarato in Parlamento che la situazione
in Egitto è esplosiva. Crediamo perciò che sia venuto il momento
per la Farnesina di passare dalle parole ai fatti, decretando la
sospensione dell’invio di armi e promuovendo in sede europea
l’interruzione da parte di tutti i Paesi dell’Unione dell’invio
di sistemi militari all’Egitto, fino a quando la situazione non si
sarà chiarita».
Il
nostro Paese è tra i cinque maggiori fornitori europei dell’esercito
egiziano. Secondo la relazione delle scorse settimane del Governo al
Parlamento, vi figura di tutto: dai fucili d’assalto e
lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe
per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro
della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle “apparecchiature
specializzate per l’addestramento militare”. Magari sono proprio
le armi che vediamo in televisione e sui quotidiani in questi giorni.
Secondo
l’Opal di Brescia – associazione a cui aderiscono, tra gli altri,
la Diocesi, il Collegio missioni africane, i missionari Comboniani e
Saveriani, Pax Christi e la Cgil – le
esportazioni di armi dall’Italia all’Egitto sono in costante
crescita. «Le
autorizzazioni ministeriali per forniture di armamenti all’Egitto»,
spiega Giorgio
Beretta, analista di Opal, «non
superavano i 10 milioni di euro del 2010, sono salite a oltre 14 nel
2011 e lo scorso anno, col governo Monti, hanno toccato il picco di
oltre 24,6 milioni di euro. E di conseguenza sono cresciute le
consegne effettive di sistemi militari, che nel 2012 hanno superato i
28 milioni di euro (precisamente 28.679.837). Esportazioni che sono
tuttora in corso, visto che nei primi tre mesi del 2013 l’Istat ha
già rilevato spedizioni di armi e munizioni al Paese africano per
oltre 2,6 milioni di euro».
Proprio
il controllo delle esportazioni militari è stato attribuito lo
scorso anno all’Unità per le Autorizzazioni di materiali di
armamento (Uama) del Ministero degli Esteri. Nonostante questo, tra
il 2011 e il 2012, nel pieno delle rivolte che hanno portato alla
cacciata di Mubarak, l’Italia ha inviato alle Forze armate egiziane
un autentico arsenale bellico.
«Soprattutto»,
evidenzia Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal, «sono
da segnalare nel 2011 le esportazioni di munizioni dalla provincia di
Lecco, probabilmente prodotte dalla ditta Fiocchi. Si tratta di
forniture per oltre 41.900 euro, che possono corrispondere a oltre
100 mila munizioni. Come ha documentato Amnesty International, in
piazza Tahrir sono stati ritrovati dei bossoli di munizioni della
Fiocchi».
Proprio
sulle esportazioni della fabbrica lecchese, Opal sottolinea un’altra
anomalia. Le
effettive spedizioni non sono mai riportate nella relazione della
Presidenza del Consiglio, ma ci sono solo le autorizzazioni
rilasciate dai Ministeri degli Esteri e delle Finanze per i
pagamenti. «In
parole semplici»,
commenta Tombola, «da
oltre dieci anni la Fiocchi sta esportando munizioni di cui l’Agenzia
delle Dogane non dà alcun riscontro nelle relazioni governative,
quasi si trattasse di munizioni a uso civile o sportivo e non invece
di munizioni da guerra, e che come tali sono autorizzate e dovrebbero
essere puntualmente riportate nella relazione governativa. Su questa
stranezza, che potrebbe coprire ulteriori esportazioni oltre quelle
autorizzate, abbiamo chiesto con un’interrogazione parlamentare al
ministro Bonino di fare subito chiarezza».