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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Armi leggere, affari pesanti

18/04/2012  La trentunesima edizione di Exa, la mostra internazionale di fucili e pistole di casa a Brescia, ha avuto l'inevitabile corredo di dubbi, interrogativi, polemiche. Un business notevole.

Anche quest'anno il copione si è ripetuto. Estimatori da una parte e critici dall'altra; applausi, ma anche dubbi, interrogativi.  E polemiche. Giunta alla sua trentunesima edizione, Exa, la mostra internazionale di armi "leggere" allestita a Brescia dal 14 al 17 aprile, s'è confermata un punto di riferimento nel settore "delle armi sportive e da caccia", come viene reclamizzata. Il problema è che tra i prodotti "in vetrina" ci sono pistole semiautomatiche, usate anche nelle zone di conflitto, e fucili a pompa che appartengono alla dotazione dei Marines. Armi letali, che generano domande inquietanti.

Scorrendo i dati Istat, ad esempio, si scopre che nel 2011 dalla provincia di Brescia sono state esportate armi e munizioni ai Paesi del Medio Oriente per un totale di 11 milioni di euro, mentre ammontano a 6,8 milioni le esportazioni verso il Nord Africa. L'elenco degli Stati acquirenti include Emirati Arabi (con oltre 4,5 milioni di euro), Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco, Giordania, Libano, Israele. Territori ad alta tensione, attraversati dalle rivolte della primavera araba, coinvolti in situazioni di guerra o guerriglia o oppressi da regimi antidemocratici. Non solo: tra gli importatori figurano anche Colombia (e parliamo di altri 4,5 milioni di euro), Venezuela, Messico, India e Pakistan. Tutte zone calde.

Che dire poi delle armi vendute per oltre 1 milione di euro alla Bielorussia, pochi giorni prima che l'Unione Europea decretasse l'embargo di armamenti verso questo Paese? La legge italiana prevede due percorsi diversi: uno per le armi civili e uno per quelle militari. Ma la distinzione non è affatto chiara. Lo dimostra un fatto eclatante, messo in luce da un'inchiesta di Altreconomia, rivista di informazione indipendente . Alla fine del 2009, un carico di 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili prodotti in Italia, per un valore di oltre 7,9 milioni di euro, è stato spedito alla Direzione Armamenti Pubblica Sicurezza del colonnello libico Gheddafi. Tutte armi dichiarate "leggere e di uso non militare", ma che dagli arsenali del regime di Tripoli potrebbero essere finite in piazza, usate negli scontri durante la rivoluzione.

Giorgio Beretta (nessuna parentela con i produttori d'armi) è ricercatore dell'Opal, l'Osservatorio permanente sulle armi leggere, nato da una rete di associazioni bresciane che comprende molte realtà cattoliche. Da anni, anche attraverso il suo coinvolgimento nella Rete Italiana per il Disarmo, lotta perché si arrivi a una situazione più trasparente. «I produttori e i promotori della fiera Exa devono documentare dove vengono esportate e in mano a chi finiscono queste armi. Anche perché i numeri non si possono mettere a tacere. Come giustifichiamo 9 milioni di euro di esportazioni verso Emirati Arabi e Colombia? E' evidente che siamo al di fuori degli usi “sportivi”. Il primo passo necessario sarebbe ripristinare una catalogazione chiara, che distingua nettamente armi sportive, armi di difesa personale e armi militari».

E qui tocchiamo un'altra questione spinosa. Perché fino all'anno scorso un catalogo delle armi adottato dal Governo italiano esisteva. «Ma con un emendamento infilato nell’ultima Finanziaria del Governo Berlusconi, questo catalogo è stato abolito. Ancora una volta una questione di primaria importanza è stata liquidata come materia di poco conto», continua Beretta. Il risultato è che, se già negli anni passati le barriere erano piuttosto porose, d'ora in poi sarà ancora più difficile tracciare i movimenti e chiedere conto alle aziende delle loro esportazioni. «Quello delle armi è un business che fa comodo a molti – prosegue Beretta – e non conosce flessioni nonostante la crisi. Però produce effetti che poi tutti condannano, come si è visto in Libia.  Se i nostri Governi hanno intenzione di rilanciare l'economia italiana puntando sulle armi come settore trainante, che almeno lo dicano chiaramente».

Ogni anno, in base alla legge 185/90, i Governi italiani sono tenuti a presentare entro il 31 marzo un rapporto dettagliato circa le autorizzazioni all'esportazione di armi. Siamo nella seconda metà aprile, ma del rapporto ancora non c'è ancora traccia «e tutti gli incontri che abbiamo chiesto con gli uffici competenti finora non hanno dato alcun esito – precisa Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo – Il problema è che ci troviamo a gestire una mole di dati sempre più numerosi e complessi, ma in realtà sempre più oscuri. Questo perché non c'è la volontà di fare chiarezza». Anche Vignarca invoca regole precise e ferree. «Le armi pesanti, paradossalmente, fanno più 'rumore': non è così facile contrabbandare un carro armato. Quelle leggere, invece, si spostano con facilità ed è alto il rischio che finiscano nelle mani di organizzazioni terroristiche. Poco importa per quali canali e attraverso quali cavilli legislativi vengano vendute. Le armi sono concepite per sparare e spesso alla fine del loro percorso ci sono persone che muoiono. Non dimentichiamolo mai».

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