Monsignor Paul Richard Gallagher, 67 anni.
«Ognuno ha i propri hobby. E anche papa Francesco ha i suoi», dice qualcuno, cme se Jorge Mario Bergoglio avesse il pallino dei poveri, dei migranti, degli scartati e soprattutto della pace.
No. Non è così, anche se non sono in pochi a pensarlo. Per il Santo Padre i poveri e la pace sono una scelta evangelica legata al nome da lui scelto: Francesco.
E che la pace e il disarmo siano fondamentali nel Magistero recente della Chiesa ce l'ha ricordato monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, in un video messaggio indirizzato all'incontro alla Conferenza sul Disarmo di Ginevra: «Il disarmo non può più essere considerato un obiettivo opzionale. È un imperativo etico», ha detto. Altro che hobby.
Il disarmo è fondamentale per quanto concerne le armi nucleari, biologiche e chimiche. Ma, ha sottolineato moinsignor Gallagher, «si applica altrettanto fortemente anche alla crescente concorrenza militare nello spazio e nei campi del cyberspazio e dell'intelligenza artificiale, come i sistemi d'arma autonomi letali». Non è mancato il riferimento al «traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro, nonché per le armi esplosive, in particolare nelle aree popolate, che sono diventate sempre meno ‘convenzionali’ e sempre più ‘armi di distruzione di massa».
Le conseguenze - se si vogliono vedere - sono sotto gli occhi tutti. Basta guardare a quanto successo lunedì 22 febbraio, con l’uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo. Quanti interessi in quella terra così ricca. Quante armi. Che mercato rigoglioso. E quante vittime. Oltre 5 milioni in questi ultimi anni.
La sollecitazione alla Conferenza di Ginevra, da parte della Santa Sede, all’impegno per il disarmo come “imperativo etico” è solo l’ultimo dei numerosi interventi di papa Francesco (e anche dei suoi predecessori) nel solco di una denuncia della follia della guerra. «Disarmo, sviluppo e pace siano - secondo la Santa Sede - tre questioni interdipendenti... Le enormi spese militari, ben oltre ciò che è necessario per assicurare una difesa legittima fomentano il circolo vizioso di una corsa agli armamenti apparentemente infinita».
Ci ricordiamo le parole accorate di Francesco alla Veglia pasquale 2020: «Di pane e non di fucili abbiamo bisogno». E il giorno di Pasqua: «Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbe essere usati per curare le persone e salvare vite. Sia invece il tempo in cui porre finalmente termine alla lunga guerra che ha insanguinato la Siria, al conflitto in Yemen e alle tensioni in Iraq».
E dal 5 all'8 marzo Francesco va proprio in Iraq. Una terra che ha visto scorrere troppo sangue. Con la prima e seconda guerra del Golfo. Con la devastazione operata dall’Isis. È un viaggio storico! Anche Giovanni Paolo II avrebbe voluto recarsi nella terra di Abramo, a Ur, nel 2000, ma non fu possibile. Ma non possiamo dimenticare con quanta passione san Giovanni Paolo II cercò di scongiurare la guerra: “Mai più la guerra avventura senza ritorno”.(1990). Una denuncia spesso dimenticata, anche all’interno della chiesa. Altro che ‘pallini’! E credo sia ragionevole pensare che anche in questo viaggio nella terra dei due fiumi papa Francesco farà sentire la sua voce contro la guerra e le armi. Come ha fatto ad es. a Redipuglia, il 13 settembre 2014, a Hiroshima e Nagasaki il 24 novembre 2019, a Bari esattamente un anno fa, il 23 febbraio 2020, al convegno sul Mediterraneo frontiera di pace: “La guerra è un’autentica follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti”. E poi concludeva riferendosi a «organizzazioni internazionali e di tanti Paesi che parlano di pace e poi vendono armi ai Paesi che sono in guerra. E questa si chiama grande ipocrisia».
Il Magistero della chiesa è un cammino segnato da continue denunce della guerra. Da Benedetto XV nel 1917 “ questa guerra, un’inutile strage” . Alla Pacem in Terris (1963) di Giovanni XXIII dove la guerra è definita “alienum a ratione”, cioè roba da matti. Alla Gaudium et Spes del Vaticano II. Fino alle recenti encicliche di Francesco, con la Laudato Si, tra pochi mesi saranno 6 anni. Alla Fratelli tutti dello scorso ottobre 2020: «Oggi è molto difficile sostenere i riteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!» (Fratelli Tutti, 258).
E, per tornare al messaggio alla Conferenza di Ginevra, vengono sottolineati alcuni segnali incoraggianti, come l’entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) e la recente proroga di cinque anni del Nuovo Trattato di riduzione delle armi strategiche (New START) tra gli Stati Uniti e Russia. Un mondo libero dalle armi nucleari è “possibile e necessario”, afferma Gallagher. La Santa Sede attende l'imminente Conferenza di revisione degli Stati del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, con la speranza che "si tradurrà in un'azione concreta” nella direzione del disarmo nucleare.
Si ratta credo, per tutti noi di riscoprire lo stesso impegno e passione che comunica papa Francesco. Una conversione da attuare in questo tempo di Quaresima.Sia a livello personale, certo. Sia a livello istituzionale: un impegno da chiedere anche al nostro Governo, perché aderisca al Trattato di proibizione delle armi Nucleari, che ha visto tra i primi firmatari proprio la Santa Sede. Sarebbe un bel segnale da parte del nuovo Governo: accogliere l’appello di milioni di italiani che chiedono: Italia ripensaci! Perché, come dice il messaggio di oggi della Santa Sede: “nessuno è al sicuro, finché tutti non sono al sicuro”.
don Renato Sacco,
coordinatore nazionale di Pax Christi Italia