Lei è in cella di isolamento, la sua
famiglia vive stipata in un’unica
stanza. Si complica sempre
più la vita per Asia Bibi, la cinquantenne
contadina cristiana
condannata a morte per blasfemia, e
per i suoi congiunti. Il marito Ashiq
Masih, due figlie, un figlio sposato con
moglie e bebè sono tutti in un’aula
dell’edicio scolastico della Renaissance
education foundation (Ref), a
Lahore. La Fondazione cura la tutela
legale di Asia e l’assistenza materiale
alla sua famiglia. La donna è stata falsamente
accusata di «blasfemia» verso
il profeta Maometto e condannata
alla pena capitale a novembre 2010.
Confermato il verdetto dalla Corte
di appello nel 2014, oggi il processo è
al terzo e ultimo grado di giudizio, la
Corte suprema. Asia è dietro le sbarre
da sette anni. E anche i suoi familiari
sono in condizioni critiche.
La sua famiglia ha dovuto abbandonare
la casa dove vivevano,
per motivi economici e di sicurezza.
Oggi si trovano nel bel mezzo
di un paradosso: quello di Asia è un
caso noto a livello internazionale, ma
intanto la Fondazione che si occupa
direttamente della donna fa fronte
con estrema difficoltà a tutte le spese:
quelle legali, il sostentamento economico
della famiglia, la sicurezza
l’istruzione dei bambini. Troppe Ong
sfruttano il nome di Asia Bibi per racimolare
fondi che poi non arrivano a
destinazione. Joseph Nadeem, a capo
della Ref, riferisce con amarezza: «Riceviamo
tante espressioni di solidarietà,
ma ben poche risorse concrete
per tirare avanti. La famiglia di Asia
rasenta l’indigenza».
La donna, per parte sua, non sa e
non deve avere queste preoccupazioni.
Il carcere femminile di Multan,
dove è reclusa, è ancora in massima
allerta. Le misure di sicurezza sono
state rafforzate, e anche il personale
carcerario è rigidamente selezionato.
Il ministero degli Interni intende
prevenire il rischio di una esecuzione
extragiudiziale in prigione.
La faccenda
si è maledettamente complicata
dopo l’esecuzione capitale di Mumtaz
Qadri, all’inizio di marzo. Qadri è il
killer dell’ex governatore del Punjab,
Salman Taseer, ucciso nel 2011 (insieme
con il ministro cattolico Shahbaz
Bhatti) proprio perché aveva visitato
Asia Bibi in carcere, proclamandone
l’innocenza. Con imponenti manifestazioni
di protesta, seguite a quell’esecuzione,
i radicali islamici hanno
chiesto, per ritorsione, la testa di Asia
Bibi. Tutto è più difficile ora. Anche
per il processo, meglio aspettare tempi
migliori, dicono gli avvocati. L’attesa,
per Asia, è sempre accompagnata dalla
preghiera e dalla fede, unica forza per
andare avanti.