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martedì 17 settembre 2024
 
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Asia Bibi e gli altri, tutte le vittime della legge nera

15/10/2015  Nel 2014 registrate 1.400 denunce per blasfemia, ovvero per (presunti) insulti contro islam, Corano o Maometto, di cui 800 a carico di musulmani. Nel 90% dei casi, sostiene un legale, si tratta di persone accusate falsamente, magari per gelosia o vendetta. Ridimensionato l'allame per le condizioni di salute di Asia Bibi, condannata a morte, da 6 anni in carcere.

Asia Bibi.
Asia Bibi.

E’ stata chiamata «legge nera». Ha causato esecuzioni extragiudiziali e condanne di innocenti. E’ un’arma letale nelle mani dei radicali islamici e viene continuamente usata per fini del tutto diversi da quelli per cui era nata. La famigerata «legge di blasfemia» (tre articoli del Codice penale che puniscono il vilipendio all'islam, al Corano, al profeta Maometto) tiene banco in Pakistan e continua e mietere vittime.  

Tra le più note c'è Asia Bibi, donna e madre cristiana oggi 45enne, che ha trascorso sei anni in carcere, condannata a morte per presunti insulti al profeta Maometto. La donna, un'innocente vittima di accuse orchestrate ai suoi danni, ha l'ultima speranza nel processo che la vede imputata davanti alla Corte Suprema, terzo e ultimo grado di giudizio.  Reclusa nel carcere femminile di Multan, Punjab, Asia trascorre le sue giornate aggrappandosi alla preghiera e alla lettura della Bibbia. Ciclicamente filtrano notizie preoccupanti sulle sue condizioni di salute e sui rischi per la sua sicurezza, come avvenuto ieri, 14 ottobre, in un lancio dell'agenzia di stampa France Press. Ma, al di là delle speculazioni, le persone a lei più vicine, come il tutore della  sua famiglia Jospeh Nadeem e l’avvocato Saiful Malook, che la rappresenta in tribunale, non alimentano gli allarmismi e minimizzano: «Asia è comunque più sicura all’interno di un carcere piuttosto che al di fuori, dove sarebbe esposta alle vendette degli islamici radicali che vorrebbero giustiziare quanti sono ritenuti blasfemi anche solo in base a una falsa accusa», spiega a Famiglia Cristiana il legale.

Asia non è la sola, se si pensa che i casi di supposta blasfemia sono in netto aumento. Come riferito dall’agenzia Fides, nel 2014 sono state registrate ufficialmente in Pakistan 1.400 denunce di blasfemia. Secondo i dati diffusi dagli avvocati di Karachi, circa 800 di queste sono a carico di cittadini musulmani. Per questo, notano i legali, per i quali è divenuto rischioso assumere la difesa di quegli imputati, «gli stessi musulmani dovrebbero scendere in campo contro l’abuso di questa legge», in tanti altri casi usata come una «spada di Damocle» per colpire le minoranze religiose come i cristiani, particolarmente vulnerabili.   Il punto è che nel 90% dei casi – sostiene un altro legale musulmano – si tratta di persone accusate falsamente, in base ai motivi più disparati, magari per controversie private. 

Una delle vittime più recenti è il giovane cristiano Naveed John, 24 anni, arrestato nei giorni scorsi a Sargodha, in Punjab. Il giovane, che pregava in casa sua per persone afflitte da mali fisici e spirituali, è stato tratto in inganno da un musulmano che lo ha accusato di oltraggiare il Corano.   In un altro caso, nell’area di Wazirabad, sempre in Punjab, il cristiano Aftab Gill, 40 anni, andava ad attingere acqua pulita alla fontana appartenente a una moschea vicina, come molta altra gente. comunità. Un musulmano lo ha cacciato contestandogli di “contaminare l’acqua”, perché non musulmano. Ne è nato un alterco e circa 200 uomini si sono radunati per aggredire Gill e la sua famiglia, accusandoli di blasfemia. La polizia è dovuta intervenire per salvarli da un sicuro linciaggio.   Nel 2014, ha ricordato la Commissione per i diritti umani del Pakistan, Ong diffusa a livello capillare, i tribunali pakistani hanno condannato tre persone a morte, sei persone all'ergastolo, e tre persone a due anni di carcere per blasfemia. 

E mentre le condanne fioccano, le buone notizie sono rare: è andata bene, per ora, a Pervaiz Masih, cristiano arrestato nel distretto di Kasur il 2 settembre scorso per presunta blasfemia, a cui stata concessa la libertà su cauzione, evento rarissimo in un processo di primo grado.   Per Imran Masih, invece, il calvario continua: è dietro le sbarre dal primo luglio 2009 e nel 2010 è stato condannato all'ergastolo per blasfemia. Accuse pretestuose e totalmente inventate. A difenderlo ci sarà ora Khalil Tahir Sindhu, avvocato cattolico e ministro per le minoranze nel governo della provincia del Punjab. Sindhu cercherà di dimostrare ai giudici che Imran Masih è innocente. Per questo anche lui è sotto tiro e rischia la vita.

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