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mercoledì 18 settembre 2024
 
 

Sorveglianza negli asili nido: servono carte in regola, competenza e più controlli

31/05/2019  La videosorveglianza non risolve tutto: sì a formazione continua e lavoro di squadra. In un servizio del 2016 il parere della politica e di chi gestisce le strutture

Di fronte a casi come quello dell’asilo privato di Milano ci chiediamo se non ci siano controlli a monte, e quale procedura occorre seguire per aprire una struttura. «Un asilo nido», dichiara Elisabetta Strada, consigliere comunale a Milano e vicepresidente della Commissione educazione del Comune, «in realtà viene considerato come una qualsiasi altra attività imprenditoriale, come se non ci fosse differenza tra di esso e un parrucchiere. La struttura incriminata aveva tutti i requisiti: osservanza delle condizioni igieniche con verifica da parte dell’Asl, adeguamento spazi, rapporto educatori e bambini e titolo di studio da parte della responsabile».

Lo scorso febbraio aveva ottenuto l’accreditamento con il Comune, un semplice riconoscimento formale del servizio che non presuppone alcun tipo di finanziamento da parte dell’Amministrazione, ma richiede di presentare dei titoli come la Carta dei servizi, un meccanismo di sondaggio della soddisfazione degli utenti, la garanzia che i criteri di accesso non siano discriminatori. Diverso è quando un asilo è convenzionato con il Comune. In questo caso vengono accolti bambini che vengono dalle graduatorie comunali e il nido percepisce un contributo per le rette. Ma è anche tenuto ad adeguarsi agli standard educativi. Inoltre l’Amministrazione procede a controlli periodici a sorpresa.

Telecamere sì o no? «Non credo risolvano granché», risponde Elisabetta Strada. «Penso piuttosto ad altri strumenti per prevenire queste situazioni. Un aumento dei posti nido pubblici, sensibilizzazione dei genitori e del personale con corsi ad hoc, estesi anche alle responsabili delle strutture private, maggiore rigidità nei criteri per le autorizzazioni. Forse si potrebbe pensare, come Asl e Regione, a reintrodurre il medico scolastico anche per monitorare la tenuta psicologica del personale».

«Le telecamere non risolvono tutto», le fa eco Paola Molesini, titolare del nido privato di Milano “Grillo Parlante”. «Perché quando si arriva a rendersi conto che c’è qualcosa che non va e si ricorre alle immagini per documentarlo ormai il male è stato fatto. Quello che occorre fare è rompere la cultura dell’omertà, perché chi vede e non parla secondo me è ancora più colpevole. La telecamera inoltre rischia di alterare la spontaneità dell’atto educativo. In un nido si recita, si balla, si canta, ci si mette in gioco e l’idea di farlo sotto un occhio che ti guarda e ti riprende può creare rigidità e imbarazzo».

Le tremende immagini della struttura ci hanno rimandato l’idea di una sorta di girone infernale. Ma com’è davvero la vita in un nido? «È normale che dove ci sono bambini così piccoli, ci siano pianti, opposizione, difficoltà ad addormentarsi», spiega Paola Molesini. «Sono cose all’ordine del giorno. Occorre affrontarle con serenità e confidando molto sul lavoro di squadra. Nel momento che un’educatrice ha un attimo di stanchezza è fondamentale che un’altra possa darle il cambio. Sono importanti anche le riunioni settimanali, lo scambio di critiche costruttive, l’idea di fare rete. Resta innegabile che per fare questo lavoro occorre più che in altri campi avere un’autentica vocazione». «Nel settore pubblico questo lavoro di squadra è garantito», conclude Elisabetta Strada «anche dalla formazione continua e dal fatto che la direttrice del settore scuole d’infanzia conosce le sue educatrici una a una come in una grande famiglia».

 
 
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