Recentemente la Sanset di Istambul, ha acquisito la Pernigotti, prestigioso marchio dolciario ceduto dalla Fratelli Averna per 84 milioni di euro. Anche l’acquisizione da parte del colosso francese Lvmh dell’80% di Loro Piana, famosa in tutto il mondo per i prestigiosi capi in cachemire, è una delle ultime manovre da parte degli stranieri che fanno man bassa tra i nomi simbolo del nostro Paese.
Il gruppo Louis Vuitton aveva già messo in portafoglio Bulgari, Fendi,
Emilio Pucci, Acqua di Parma, Richard Ginori (attraverso la controllata
olandese Kering Holland) e, solo pochi giorni fa, l’80% della storica
pasticceria Cova di via Montenapoleone a Milano (litigandosela con Prada
che ha intrapreso le vie legali contro la famiglia Faccioli). Non gli
resta che Armani, che corteggia dal lontano 1998, ma re Giorgio resiste.
Il bello, il lusso, ma anche la bontà, quindi, ora parlano francese. A
far concorrenza c’è il gruppo Kering, della famiglia Pinault,
altrettanto appassionati di moda e buoni affari: Gucci, Bottega Veneta,
Sergio Rossi, Pomellato (compreso il marchio Dodò) e la storica sartoria
Brioni, che ha vestito da Barack Obama a , hanno conservato solo il
nome italiano, magari la dirigenza, qualche stabilimento, ma non i
guadagni che finiscono direttamente nelle tasche francesi. I nomi
dell’alta moda restano solo leggende italiane, come Valentino,
acquistata dal Mayhoola Investment group del Qatar o Ferré che
Abdulkader Sankari ha portato a Dubai (mentre la famiglia Ferré ha
deciso di tenersi l’archivio).
Non possiamo più contare sulla moda,
ma ben poco anche sull’altro fiore all’occhiello del nostro Paese,
l’agroalimentare. Anche la Coldiretti ha lanciato l’allarme, perché la
vendita (e la svendita) dei nostri marchi sta diventando una vera e
propria emorragia. Approfittando del carck nel 2011 Lactalis acquistò
l’83% di Parmalat, ma il gruppo ha anche i brand Galbani, Locatelli,
Invernizzi e Cademartori. Anche lo zucchero di Eridania è per il 49%
nelle mani francesi di Cristalalco Sas, mentre già dal 2009 Nutrition
& Santé (che fa capo al gruppo Novartis) acquistò Orzo Bimbo. Non
sono immuni dalle acquisizioni neppure olio, spumanti e vino: gli
spagnoli di Deòleo hanno Bertolli, Carapelli, Sasso, Minerva Oli e
Friol, mentre lo zar della vodka Roustam Tariko ha comprato il 70%
Gancia a dicembre 2011. Dalla colazione al dopo cena, la tavola si veste
di marchi stranieri: le confetture della Boschetti alimentare sono
francesi (il 95% dell’azienda è di Fiannciere Luber sas), l’industria
casearia Giovanni Ferrari, che vende Parmigiano Reggiano e Grana padano,
è per il 25% di Boingrain Europ, così come un quarto di Riso Scotti è
degli spagnoli di Ebro Foods. Dalla Spagna sono arrivate anche altri
acquirenti: Agrolimen ha il 75% di Star, Camprofio food group è
proprietaria della Fiorucci salumi.
Non è immune dalla colonizzazione
straniera neanche la grande industria: Ferretti group, colosso della
cantieristica e primo produttore al mondo degli yacht di lusso, è stata
acquistata il 75% dalla società cinese Shandong Heavy Industry Group che
adesso tiene tutti con il fiato sospeso con la cassaintegrazione dei
dipendenti nei sei stabilimenti italiani e la minaccia di delocalizzare
in Cina. In mani francesi c’è l’energia, visto che Edison, secondo
produttore in Italia, è controllata dai francesi (ancora loro) di Edf,
mentre solo per un soffio in questi giorni è sfumata l’entrata dei
cinesi di Hutchison Whampoa nell’azionariato di Telecom Italia.
Pezzi
d’Italia che se ne vanno in mani straniere pronte a trasformare
difficoltà economiche e liti familiari in ottime occasioni di
investimento.