Hassan Degain (foto Zagnoli).
Da tre anni, in Siria è tutta una scia di sangue. E allora Hassan Degain, 38 anni, neanche piange per la morte del nipote Mamoud, 22enne, e in tutto per una trentina di parenti. “Siamo una tribù di quasi 4mila persone - racconta -, tutte legate fra loro. Veniamo da Jarjaz, provincia di Edlib, nel nord”.
Lavora a Reggio, al Rotani caffè, in circonvallazione. Alterna la gestione del locale al racconto emozionale del conflitto e quasi singhiozza. “Mamoud era figlio di Saha, mia sorella. L’avevano catturato una domenica pomeriggio, in provincia di Aleppo. E’ stato ucciso senza un processo, a sangue freddo, perchè semplice oppositore del regime”.
- Quali sono le ragioni di questo conflitto?
“E’ del popolo contro il presidente Bashar Al-Hassad. Anzi, non è più il nostro presidente, nè siamo più il suo popolo”.
- Qual è il bilancio parziale?
“In tre anni, sono state accertate oltre 200mila vittime, metà vicine al governo. Inoltre, ci sono 85mila scomparsi, arrestati dal 2011, e nessuno sa dove siano. Abbiamo sofferto tanto, anche a distanza, per la morte di tanti innocenti”.
- Com’è iniziata?
“Il 15 marzo del 2011, la popolazione uscì manifestando in maniera pacifica, per 7 mesi. Sino ad agosto, nessuno usava le armi, contro il regime. Finchè il tiranno replicò sparando, addosso alla gente, e allora per proteggersi le persone comuni hanno dovuto imbracciare i fucili”.
- Chi è il leader dell’opposizione?
“Non esiste, perchè ogni città principale ne ha 1-2. Il conflitto proseguirà finchè il presidente farà la fine di Gheddafi. Quando verrà ucciso, tutto si calmerà, almeno parzialmente”.
- Lei ha combattuto?
“Avevo aiutato l’esercito libero, facevo la guardia e portavo medicine, per l’esercito della liberazione. Da Milano ad Aleppo. Nella mia famiglia, 4-5 sono consiglieri e contribuiscono a decidere le strategie, mentre 5 fratelli su 8 invece combattono: il più piccolo è a casa, ha 10 anni”.
- Hassan, ma perchè non è in prima linea?
“Tantissimi donano la loro vita per combattere. Mi hanno detto che sono più utile in Italia, nel raccogliere medicinali”.
- Nel marzo 2012 avevo condotto il carico più significativo.
“Mi colpirono le immagini della guerra su Al Jazeera e sulla Bbc World. Chi combatte soffre sempre la mancanza delle medicine, una parte della mia città era già stata liberata, a quel punto decisi di preparare il camion umanitario assieme a medici siriani, una macchina da Milano a Edlib. Anzi, ne riempii altre 2, pagando gli autisti”.
- Un viaggio a inizio ottobre, due anni fa, il bis il mese successivo.
“C’era pericolo a entrare in Siria, gli aiuti però erano attesissimi, con pasti artificiali per bambini, donati dagli italiani, e anche sostentamento per i militari. La spesa fu di 1500 euro, grazie ad amici e aziende ne ho recuperati 1000. Ora gradiremmo che anche dal nord Italia partissero soldi per la Turchia, per acquistare due autoambulanze su cui si potrà anche operare”.
- Come finirà?
“Non è immaginabile. Intanto si continua a combattere, a partire dalle altre città principali: Homs, Aleppo, Dar’a, Darayya e Al-Raqqa. Ci sono quasi 10mila stranieri che raggiungono la Siria e in particolare gli iraniani aiutano il regime. Si temono altri mesi di conflitti e lutti continui”.