Antefatto: l’Athletic Brighela (associazione sportiva dilettantistica popolare) è una squadra di calcio bergamasca di terza categoria, il nome è un omaggio alla maschera locale, che già rende la squadra simpatica perché nel mix di inglese e carnascialesco dà l’idea di una certa dose di autoironia. In campo per la 18ma giornata del girone B, i Brighela le buscano di santa ragione dal River Negrone, 5-1, ma prima di scendere in campo chiedono all’arbitro di esporre uno striscione, il direttore di gara nega il consenso, si presume avendolo valutato di contenuto politico che le regole sportive vietano. Il lenzuolo dice: «Cimitero Mediterraneo. Basta morti in mare».
Il fatto è che la squadra disobbedisce e per 20 secondi tiene in mano visibile questo lenzuolo bianco con la scritta incriminata. Risultato: 550 euro di multa e squalifica di un mese per il capitano e altre squalifiche per allenatore e dirigente accompagnatore.
D’accordo le regole sono regole e all’arbitro non si doveva disobbedire, anche se forse in quel no c’è stato un eccesso di zelo, perché neppure il più accanito avversario di ogni forma di immigrazione si sognerebbe di dire per decenza in pubblico che i morti in mare vanno bene. Al limite si discute, e infatti se ne discute anche molto accanitamente, su quale sia il modo per evitarli. E lì le opinioni divergono assai.
Il calcio è uno sport che fa del fair play, dell’antirazzismo, dell’inclusione una bandiera (spesso di facciata). Che messaggio dà se poi sanziona uno striscione, che preso da solo manda un contenuto solo umano e in linea con i valori che sulla carta le federazioni calcistiche internazionali dicono di sostenere (anche se poi magari predicano bene e razzolano male, vedi mondiali assegnati al Qatar), come si farebbe con uno striscione a contenuto politico che magari grida “morte a qualcuno...”, scelga chi legge di volta in volta rivolto a chi (quanti ne abbiamo visti sugli spalti... negli anni ad alto livello, dalle allusioni ai forni crematori, all’omicidio del commissario Raciti e mai per criticarli)?
Si tratta di uno sport che, tra l’altro, si propone come agenzia educativa. La contraddizione è evidente e il risultato è un messaggio se non distorto strabico.
È vero, nelle grandi manifestazioni la Carta olimpica vieta i messaggi a contenuto politico, perché c’è di mezzo un grande tema di sicurezza, ma non impedì a Elisa Di Francisca nel 2016 di mostrare dopo la premiazione una bandiera europea, che in quel momento era un messaggio di unione contro il terrorismo, a poche settimane dall’attentato che fece strage sul lungomare di Nizza in cui morirono 86 persone e centinaia rimasero ferite, ma che in sé non conteneva messaggi politici diretti. Allo stesso modo non si impedisce, in Champions League e agli Europei, ai calciatori di inginocchiarsi come gesto simbolico a sostegno dei diritti civili.
Lo stesso ragionamento si sarebbe potuto fare con lo striscione dell’Atlhetic Brighela, tanto più che il contesto provinciale certi problemi di mondovisione e sicurezza certo non li pone.
Ci sta che si sanzioni, magari simbolicamente, se si viola - come è stato fatto - il divieto del direttore di gara, ma anche il diritto penale, nell’ottica di proporzione tra azioni e sanzioni, applica istituti come l’archiviazione per tenuità del fatto, se la violazione è nei fatti non offensiva, e l’attenuante d’aver agito per fini di particolare valore sociale, se chi commette reato lo fa a fin di bene.
Possiamo sperare che anche il diritto sportivo trovi una giustizia che, anziché applicare il “fiat iustitia pereat mundus” (si faccia giustizia, muoia il mondo), sappia distinguere un atto dall’altro, un intento dall’altro? I mesi di squalifica normalmente volano perché si fa rissa in campo, si picchia con dolo al di fuori dell’azione, si sputa a un avversario. E 550 euro per una piccola società amatoriale sono tanta roba. Tanto più che la società ha fatto sapere di aver mandato altri messaggi così senza sanzione alcuna.
È troppo chiedere di modulare le sanzioni, agendo in via interpretativa o se non si può riscrivendo le regole, in modo da tener conto delle differenze tra i comportamenti e magari dimostrando di capire che scrivere su un lenzuolo di non voler più vedere 74 persone, tra cui tanti bambini, morire in mare è una cosa diversa dal rifilare un pugno a un avversario mandandolo all’ospedale? Se non altro perché il diritto fa davvero giustizia solo se dentro il suo sistema riesce a rispettare le proporzioni.