Cresce nel Paese l’attenzione al ruolo di cura delle famiglie nei confronti delle persone anziane, in considerazione del crescente numero di anziani e del maggior numero di anni che si vive da anziani, compresi periodi sempre più lunghi di dipendenza/non autosufficienza, parziale e totale. Nel 2016 si stimavano due milioni e mezzo di anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti, di cui poco meno di 300mila ospitati in strutture residenziali (Rapporto Auser 2016). A livello europeo il nostro Paese, tra l’altro, offre indicatori di istituzionalizzazione meno marcati, a favore del mantenimento dell’anziano a casa propria, e comunque nel “territorio”, il più a lungo possibile. Ma questo fantomatico “territorio” è un luogo di cura? E chi, nel “territorio”, al di là della retorica, offre cura, compagnia e sorveglianza continuativa, oltre che servizi socio-sanitari?
È sicuramente la famiglia in prima linea, attraverso la dedizione dei figli adulti, ma anche utilizzando collaboratori familiari a pagamento (le badanti), oltre che tenendo insieme una sfilacciata rete di – scarsi - interventi domiciliari, dall’assistenza infermieristica ai centri diurni, dal dialogo con i medici di base all’assistenza per la cura della casa e della persona. Che ci sono, ma sono mal distribuiti e scarsamente finanziati. E le famiglie quindi devono fare da sé. Anche con le badanti. L’Osservatorio dell’INPS sui collaboratori familiari, ad esempio, segnala che dal 2014 al 2015 le “badanti” sono aumentate, passando da 367.454 a 375.560. E si tratta solo di quelle in regola (quindi registrate dall’INPS tramite i contributi versati dalle famiglie/datrici di lavoro)- così sappiamo bene che questa cifra andrebbe perlomeno raddoppiata, con le “badanti in nero”. Ma, sempre dall’INPS; emerge anche la crescente presenza di italiane in questo ruolo. Da 63.407 nel 2014 a 71.646 nel 2015; oltre ottomila italiane in più, in un anno, hanno accettato questo lavoro, per lungo tempo “riservato” a donne straniere.
Ma ovviamente la famiglia è in prima linea soprattutto con persone che svolgono quotidianamente il ruolo di cura, o rubando tempo a figli e lavoro, molto spesso “a tempo pieno”. Un milione di famiglie si fanno carico dei propri anziani grazie a questa scelta. Anche questo numero cresce, anche a fronte della crisi economica, per cui la disoccupazione di uomini e donne di mezza età porta spesso a decidere di “restare a casa per curare i propri vecchi”. In più, spesso sono “giovani anziani”, tra i sessanta e i settant’anni, a curare i propri genitori ultranovantenni, rimasti a casa propria o ospitati nelle case dei propri figli. Insomma, un grande patrimonio di solidarietà, di cura e di assistenza per la popolazione anziana; e sarebbe utile conteggiare il valore orario di questa cura, verificando quanto il nostro welfare risparmia, per il semplice fatto che “i figli adulti si fanno carico dei propri genitori anziani”. E sembra anche ironico – e un po’ paradossale – che per definire questa “ordinaria normalità di cura” delle famiglie italiane si debba ricorrere alla espressione inglese “caregiver” (letteralmente “datore di cura”), quasi che non avessimo il coraggio di chiamare per nome, nella nostra lingua, questo “coraggio ordinario” della solidarietà familiare.
Da ultimo, forse qualcosa si muove anche a livello legislativo, dal momento che la Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato ha finalmente messo in discussione, qualche settimana fa, tre progetti di legge sul riconoscimento e sulla tutela del “caregiver familiare”. Proposte eterogenee, tutte da affinare, ma che almeno evidenziano tre possibili tutele: una prima tutela previdenziale, che per esempio possa risarcire o proteggere, almeno parzialmente, quei figli (più spesso figlie) che arrivano anche a lasciare in anticipo il proprio lavoro, per poter accudire i propri genitori anziani. Mettendo però così a grave repentaglio la propria condizione futura di pensionato. L’idea è restituire al caregiver un anno di previdenza per ogni cinque anni dedicati al proprio genitore anziano. Una seconda tutela è di tipo assicurativo, che consenta di coprire anche i periodi in cui il caregiver deve “staccare” – per ferie, per malattia, ecc. Una terza tutela, infine, per le malattie professionali legate al ruolo di caregiver (problemi fisici e cure per sollevamento dell’anziano, ecc., ma anche stress e tensioni emotive e relazionali).
In questa stagione pre-elettorale è oggettivamente difficile prevedere i tempi di approvazione della legge, e non c’è da essere molto ottimisti: a guardare i dibattiti politici in televisione e sui giornali, il sostegno al caregiver familiare non pare una priorità. Ma nella quotidianità delle famiglie una maggiore serenità nel poter sostenere i propri genitori anziani conta certamente molto di più delle primarie o della legge elettorale. Se ne renderanno conto, i nostri parlamentari? E ci sarà un solo partito che proverà a vincere le elezioni chiedendo di approvare questa normativa e di sostenere le famiglie?