Auschwitz e Birkenau, Polonia
Dalla nostra inviata
Innanzitutto c’è il silenzio. Perché, come scrive il rabbino
Abraham Skorka, che accompagna discretamente Bergoglio in questa visita, «quando il dolore è
grande il grido resta soffocato nella gola».
Papa Francesco arriva ad Auschwitz – dove furono sterminati
più di un milione e 100 mila persone (circa 75 mila polacchi) - e si ferma,
quasi immobile, sulla sedia che gli hanno preparato. Gli occhi chiusi, il cuore
in preghiera. Lo aveva detto sull’aereo di ritorno dal viaggio in Armenia: «Io vorrei andare in
quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari…
Ma i giornalisti è sicuro che ci saranno!… Ma senza salutare questo, questo…
No, no. Da solo, entrare, pregare… E che il Signore mi dia la grazia di
piangere».
Papa Francesco raccolto in silenziosa preghiera ad Auschwitz.
Entra a piedi, da solo, percorrendo il viale che va dal cancello al crematorio 1. Poi sale su una vettura elettrica che lo porta, lungo il viale dei blocchi, fino al luogo dell’appello. Quindici minuti di preghiera per questo pellegrinaggio personale che prosegue con il saluto a dieci sopravvissuti. Tra essi una violinista che proprio domani compirà 101 anni e che ha voluto, in questi giorni, ospitare i ragazzi della Gmg. Li saluta baciandoli uno a uno e ricevendo da loro una fiaccola accesa, in segno di memoria e continuità. Ancora in silenzio si avvia verso il blocco 11 per entrare nella cella dove trovò la morte, esattamente 75 anni, fa padre Massimiliano Kolbe, il sacerdote francescano che si offrì in cambio di un padre di famiglia destinato alla morte. Papa Francesco si ferma e prega. Anche all’uscita sceglie di percorrere a piedi l’ultimo tratto verso il cancello, lo stesso di allora «sul quale è posta una iscrizione: “Arbeit macht frei”, che ha un suono beffardo, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro», ricordò Giovanni Paolo II visitando il campo.
Papa Francesco nel campo di concentramento di Birkenau.
Da Auschwitz il Papa si sposta a Birkenau, 3 chilometri, il secondo campo fatto costruire per ampliare Auschwitz dopo le prime deportazioni e per portare fino in fondo il progetto di annientamento degli ebrei. Un campo di sterminio, non solo di prigionia, dove i nazisti avevano pianificato l’orrore, dallo spogliamento delle persone alle camere a gas, alla cremazione e alla spargimento delle ceneri. Al termine del binario a senso unico, a Birkenau, il Monumento alle vittime della nazione, e una piccola folla di mille persone ad attendere il Papa. Tra essi 25 Giusti, che salvarono gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il Papa percorre a piedi l’ultimo tratto del viale dove termina la ferrovia, fino al monumento. Alla base della stele che ricorda lo sterminio, 23 lapidi scritte nelle23 lingue che parlavano i deportati. Il Papa si ferma di fronte a ciascuna e contempla la scritta: «Per sempre lasciate che questo posto sia un grido di disperazione e un avvertimento per l’umanità, dove i nazisti uccisero circa 1,5 milioni di uomini, donne e bambini, per lo più ebrei, provenienti da vari paesi d’Europ. Auschwitz-Birkenau. 1940-1945»
Solo a questo punto il silenzio viene interrotto dal rabbino che canta il salmo 130, il De profundis. Lo stesso salmo, poi letto in polacco, da un parroco di un paese dove viveva la famiglia cattolica Ulma che fu sterminata, tutti compresi i bambini, per aver ospitato ebrei, e per i quali è stata avviata una causa di beatificazione..
Papa Francesco nella cella di padre Massimiliano Kolbe.
«La visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau», aveva detto padre Federico Lombardi, «si inserisce in un discorso più ampio considerato anche il momento storico che stiamo vivendo. Per cui tutto quello che viviamo in questi giorni ha un significato di contributo per la pace, per il dialogo fra i popoli di tutto il mondo. La meditazione in silenzio e pregando e piangendo con il Papa nel campo di concentramento di Auschwitz è terribile, ma ci fa pensare non solo al passato, ma a tutto quello che può essere la presenza del male nel mondo oggi e anche domani. Quindi è un monito straordinario, un monito fortissimo».
Papa Francesco è il terzo Papa, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, a visitare i campi di concentramento nazisti in Polonia. Il primo a farlo totalmente in silenzio. Giovanni Paolo II, nel giugno del 1979, appena fuori dal campo celebrò la Messa, mentre Benedetto XVI, nel maggio del 2006, pronunciò uno dei suoi discorsi più forti. «Papa Giovanni Paolo II», disse in quella occasione, «era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui».