Sarà
che il padre è morto, ma del padre non si è mai parlato tanto come oggi.
Come se la coscienza del vuoto lasciato dalla sua scomparsa avesse
simultaneamente generato il bisogno di riempirlo. Come se l'"uccisione"
del padre si fosse immediatamente tramutata nel desiderio-bisogno di
farlo risorgere. Proponiamo qui un breve e incompleto excursus su alcuni
testi, narrativi o di saggistica, che in questi ultimi anni si sono
misurati con la questione.
Alcuni romanzi, anzitutto. Magnifico mosaico di ritratti di giovani vite
abbandonate a se stesse, La città dei ragazzi (Mondadori) di Eraldo
Affinati si rovescia spontaneamente in un'indagine sulla paternità,
negata e perciò ancora più necessaria. Le vite di questi ragazzi accolti
nella comunità romana, dove l'autore insegna, sono una denuncia e al
tempo stesso una domanda di paternità, sicché Affinati non può esimersi
dall'istituire un colloquio intimo e sofferto con il proprio padre,
scomparso e a sua volta figlio illegittimo, orfano, solo. Affresco di
un'epoca ormai lontana e del padre che ne fu protagonista è Vita e morte
di un ingegnere di Edoardo Albinati: il padre eroe degli anni del boom
economico, del miracolo italiano, alla guida di una scattante Alfa
Romeo, appunto ingegnere in quanto parte attiva di una società dinanica, contrasta in maniera così stridente e struggente con il padre
malato, accompagnato dal figlio fino alla morte. Ed è proprio questa
svolta nella condizione del padre, e, di conseguenza, nella percezione
che ne ha il figlio, a far scattare l'impulso a fissarne l'immagine. E
poco importa se quel padre non ha mai regalato un abbraccio.
Padre è stato, e questo basta...
Non poche le affinità fra l'ingegnere Albinati e l'ingegnere Magrelli -
solo una coincidenza? - di cui il figlio, Valerio, offre un ricordo
toccante eppure mai retorico. Più o meno coetaneo di Albinati (entrambi
sono nati alla fine degli anni Cinquanta), hanno ammirato estasiati il
loro genitore-eroe nel pieno dell'attività e dell'energia, corpo attivo di una società per nulla liquida e fragile come quella odierna. Ed è l'insinuarsi della fragilità, la
malattia, ovvero l'incrinatura di questa solidità mitica, a spingere
entrambi a rievocarlo. Magrelli si era preparato a lungo, annotando
per ben dieci anni appunti, raccogliendoli, poi, alla morte del padre,
in Geologia di un padre (Einaudi).
Interessante
che anche uno scrittore di vent'anni più giovane, Matteo Righetto,
abbia sentito l'esigenza di confrontarsi con il tema. E lo svolgimento,
nel suo La pelle dell'orso (Guanda), è davvero originale. Vala la pena
ripercorrere brevemente la trama per spiegare perché. Domenico è un
ragazzino di 12 anni, rimasto solo, dopo la morte della madre, con il
padre, che si è lasciato andare, beve tropppo, alza le mani su di lui...
Ma nulla riesce a scalfire l'affetto che il figlio prova per il
genitore. Per riscattare una vita che ha preso la piega sbagliata, un
giorno il padre lancia al riccastro del paese una sfida-scommessa: se
riuscirà a catturare lo spaventoso orso che sta infestando le Dolomiti,
dovrà riconoscergli una lauta ricompensa.
Armati di fucile, i due si
arrampicano sulle montagne, fino all'incontro fatale. L'orso decide di
scagliarsi contro il ragazzo, mentre Domenico e il padre si sono
appostati per sparargli. Domenico segue alla lettera gli insegnamenti
del padre: non cedere alla paura, lasciarlo avvicinare il più possibile e
solo allora fare fuoco. Domenico si comporta proprio così, anche perché,
a pochi metri da lui, il genitore è pronto a sparare alla bestia.
Domenico spara e uccide il mostro: quando capisce di aver vinto e cerca
trionfante lo sguardo del padre per condividere la gioia, scopre che è morto... Una
scena che merita molti approfondimenti, anche psicanalitici. La vittoria
(il riscatto, la sconfitta della paura, il ritrovato rapporto
padre-figlio, l'uscita dalla crisi) avvengono sì sotto lo sguardo del
padre, ma in virtù dell'azione, della forza del figlio.
Citiamo infine Il senso dell'elefante di Marco Missiroli (Guanda) e La
strada di Cormac McCarthy (Einaudi) come ulteriori esempi di testi
letterari contemporanei incentrati sul legame padre-figlio.
Un
altro capitolo di questa "storia" è quello costituito dai
libri-testimonianza nei quali i figli rimasti orfani del padre, colpito
da morte violenta, non possono fare a meno di tornare a lui, di
raccontarlo, di rievocarlo, di resuscitarlo attraverso la pagina. È il
caso di Mario Calabresi, figlio del celebre commissario (Spingendo la
notte più in là, Mondadori), di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista
del Corriere della Sera (Come mi batte forte il tuo cuore, Einaudi), di Umberto Ambrosoli, figlio del
"banchiere onesto" (Qualunque cosa succeda, Sironi), di Eugenio Occorsio,
figlio del magistrato assassinato nel '76 (Non dimenticare, non odiare,
Dalai). La vita di un figlio non può dispiegarsi fino a che non ha
risolto la questione, finché non è venuta a patti con la memoria del padre. È come se nel figlio fosse conficcata una spina che lo costringe, quasi al di là della sua volontà, a risolvere "la faccenda". È come se avessero contratto un debito con il genitore, davanti alla società, che magari l'ha gettato nell'oblio, e finché non l'hanno estinto non avranno pace, non potranno definire la propria identità e trovare il proprio posto nel mondo. Bisogna elaborare il lutto.
La testimonianza più recente all'interno di questo filone è quella di Giovanni Tizian, figlio di Peppe, anch'egli, come Ambrosoli, banchiere onesto e perciò inconciliabile con la mafia della sua terra, la Calabria, che infatti se ne liberò a colpi di lupara nel 1989. Il ricordo del padre, in La nostra guerra non è mai finita (Mondadori), diventa spinta a un'indagine coraggiosa sulle infiltrazioni mafiose e della 'ndrangheta fra la Calabria e l'Emilia, dove il figlio era fuggito per dimenticare, scoprendo di non poterlo fare. Non solo per la presenza pervasiva e invasiva della criminalità organizzata, al Centro come al Nord e al Sud, ma per l'"ossessione" della figura paterna.
Scontato che psicanalisi e psicologia si siano occupate a fondo della paternità, essendone uno dei fondamenti insuperabili. Di grande interesse sono gli esiti dell'indagine di Massimo Recalcati, da poco in libreria con Il complesso di Telemaco (Feltrinelli), testo che merita ben altro approfondimento (che i lettori troveranno più avanti in questo stesso sito). Dopo i saggi Cosa resta del padre? e Ritratti del desiderio (entrambi Raffaello Cortina), nei quali lo psicanalista aveva per così dire elaborato la sua diagnosi - centrata sull'"evaporazione" del padre e sul desiderio come motore vitale - l'autore tenta qui di suggerire una terapia, racchiusa nel nome del titolo: Telemaco. Chi è Telemaco, che cosa rapresenta? Non è Edipo, irretito in un rapporto conflittuale e distruttivo con il padre (la Legge, l'Ideale, la Norma), e nemmeno Narciso, quel profilo piscologico-sociale, tanto in voga oggi, che si consuma nella contemplazione fine a se stessa della propria immagine.
È colui che sta in attesa del padre, del suo ritorno a casa, devastata dalla "notte dei Proci". Attende forse un padre eroe, arriverà invece un padre capace, con la propria testimonianza (concetto chiave del testo) di riacquisire il suo Regno. Quale ruolo ha, in tutto ciò, il figlio? Quello del giusto erede, ovvero di colui che, con un'iniziativa dinamica e creativa, si fa erede, si rende erede del Regno del padre: non un bene, che viene semplicemente trasferito da un soggetto all'altro, bensì un'eredità piscologico-spirituale che libera e costruisce il figlio. È nell'incontro tra testimonainza del padre e capacità di ereditare del figlio che si delinea un nuovo e positivo modello, non solo della relazione famigliare, ma di uno stare consapevole nel mondo.
La connessione della dimensione individuale-familiare e di quella sociale-politica connota anche il saggio in uscita Il padre necessario di Claudio Risé (Ares): il recupero della figura paterna è necessario all'autonomia del figlio e del cittadino consapevole.