Jorge Mario Bergoglio aveva chiesto un dibattito aperto e franco e i vescovi delle 226 diocesi italiane non hanno avuto remore a discutere. Ieri, pungolati dal discorso di apertura di Papa Francesco, lo avevano incalzato con le domande più varie. Una quindicina di interventi di due minuti ciascuno che hanno spaziato dalla politica italiana al futuro dell'Europa ai problemi sociali. Risposte anche scherzose del Papa - «i politici italiani volevano venire a Messa a Santa Marta, io ho spostato la celebrazione a San Pietro perché erano troppi, ma ho tenuto le letture di quel giorno. Non è stata colpa mia se le letture erano sulla corruzione», che si è intrattenuto con i vescovi fino alle 19.30.
Oggi, invece, l'intervento del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha sintetizzato le linee fondamentali del discorso di papa Francesco, tornando, come già aveva fatto il Pontefice, sul ricordo del pensiero di Paolo VI che «ha saputo portare a compimento con coraggioso equilibrio il Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne prosegue l’applicazione, animato dalla ricerca delle forme più idonee con le quali annunziare Gesù Cristo nel nostro tempo». E poi il cardinale ha insistito sui luoghi, indicati ieri da Francesco, in cui è necessaria la presenza dei pastori. Famiglia, lavoro, immigrazione, aveva detto il Potefice. «Mi sia consentito di rovesciarne l’ordine», ha insistito Bagnasco richiamando, invece, «innanzitutto la realtà dei migranti. Sotto i nostri sguardi si consuma l’esodo di popoli che guardano a noi come alla terra promessa: pur di giungervi, non esitano a mettersi nelle mani di mercanti di morte. A fronte di quanto sta accadendo – sciagure e drammi rispetto ai quali nessuno può rimanere indifferente - non basta l’indignazione occasionale. La nostra gente lo sa e risponde con la generosità del cuore. Penso a tante realtà diocesane, cresciute negli anni, impegnate quotidianamente sul fronte dell’accoglienza, dell’assistenza, della tutela dei cittadini stranieri, della loro dignità e sicurezza. Un’accoglienza semplice e cordiale, fatta di gesti concreti, che – grazie alla rete delle Parrocchie, delle Caritas diocesane, di Migrantes, di tante Associazioni – intesse l’ordito di una presenza capillare sul territorio, cui s’accompagna anche un processo culturale, capace di evitare sia le semplificazioni che le paure ingiustificate. Entrambe sono forme di discriminazione».
E sull'immigrazione il cardinale chiama in causa l'Europa: «Non possiamo rinunciare a dire alla politica – specialmente alla politica europea – la sterilità di polemiche che rimbalzano le responsabilità. Se l’Europa vuole presentarsi come “casa comune”, e non un insieme di interessi dove chi è più forte prevale, non può tirarsi indietro e guardare infastidita. Ricordiamo: nessuno si salva da solo. Serve altro per accordare vita e dignità a chi è in fuga dalla fame, dalla guerra, da regimi che soffocano la libertà politica, religiosa e ogni prospettiva di futuro».
Il presidente della Cei ha poi messo al secondo posto il tema del lavoro. «Sappiamo – lo sanno bene le nostre comunità – quanto la congiuntura economica di questi anni abbia impoverito drammaticamente tanta gente, rubandole la dignità e rendendola bisognosa anche del pane quotidiano. A tutti è noto come la Chiesa italiana ha costantemente incrementato le risorse destinate alle Diocesi dai fondi dell’8xmille, soprattutto per favorire l’opera delle migliaia di Centri d’Ascolto disseminati su tutto il territorio: vere frontiere prese d’assedio dagli indigenti. Va da sé che tale risposta, pur importante, da sola non è in grado di agire sulle cause della precarietà lavorativa o della disoccupazione, che nel nostro Paese sta congelando un’intera generazione e desertifica la società dai giovani. Ancora una volta – rinnovando la fiducia nella collettività sociale e politica - facciamo appello alla responsabilità di tutti: in particolare chiediamo a chi ne ha la possibilità di tornare a investire con coraggio, accettando di affrontare i rischi di questa stagione, senza attendersi – specie nel breve tempo – grandi ritorni. Nel contempo, chiediamo che siano reali, efficaci e veloci le misure di agevolazione fiscale agli imprenditori disposti a coinvolgersi per creare lavoro».
Infine la famiglia, ambito strettamente congiunto a quello del lavoro, e grazie alla quale «il tessuto sociale mantiene una propria stabilità. Generatrice e custode della vita in ogni fase del suo esserci poiché sacra e inviolabile, crogiuolo di generazioni, rimane l’impresa più importante del Paese. In essa ognuno ritrova valori, fiducia e coraggio per portare la vita. Per questo nessuno può disertare questo “luogo”. Con fermezza, rispetto e insistenza torniamo a chiedere alle Autorità responsabili di avviare politiche che esprimano un sì convinto alla “famiglia senza surrogati”; politiche attente a renderne meno difficile e gravosa la formazione, quindi la generazione e l’educazione dei figli – specie se malati - , la cura e l’assistenza degli anziani».
E' rispetto a questi luoghi e a quest'impegno che la Cei sta anche discutendo il cambio del proprio Statuto così come chiesto da papa Francesco. Una discussione che fa tesoro dei contributi pervenuti dalle Conferenze episcopali e dei suggerimenti venuti dalle visite che monsignor Nunzio Galantino ha condotto in questi primi mesi del suo mandato di segretario generale. E che il Consiglio permanente ha provato a sintetizzare in forma di emendamenti da apportare a Statuto e Regolamento. Maggiore collegialità, riduzione del numero di parrocchie, elezione diretta del presidente della Cei, sono i nodi attorno a cui è ruotata la discussione. Libera e aperta come il Papa aveva chiesto. «Non c'è fretta di arrivare a una conclusione già in questi giorni», dice più di un vescovo all'uscita dei lavori. «L'importante è fare bene, non veloci». E proprio per un maggior discernimento la decisione finale potrebbe slittare all'assemblea di novembre. Una possibilità che fa intravedere lo stesso cardinale Bagnasco quando precisa, sul lavoro già fatto dal Consiglio permamente che «i frutti di questo lavoro saranno presentati alla saggezza della nostra Assemblea, perché tutto venga esaminato, eventualmente migliorato in forme correttive o nuove, e alla fine – se si riterranno i testi maturi – portato alla nostra decisione». Tenendo però presente che «tutto è aperto, sapendo che l’unico nostro intendimento non è affermare noi stessi, ma essere il più possibile obbedienti allo Spirito che guida il cammino dei singoli Pastori, come del Corpo Episcopale». Uno Spirito che forse, per portare a quell'unità che riconosce la differenza, di cui parlava ieri Francesco, avrà bisogno di un po' più di tempo.