Lo Spazio Giallo creato da Bambinisenzasbarre
«Fuori i bambini dalle carceri italiane!» è l’appello diffuso da “Terre des Hommes”, “A Roma, Insieme – Leda Colombini”, “Bambinisenzasbarre” e “Antigone”, in occasione della piena entrata in vigore della Legge 62, che avrebbe dovuto chiudere per sempre le porte delle carceri italiane ai bambini. Ma, a due anni dall’approvazione, non mancano le aspettative deluse e i punti non chiari. Ne parliamo con Lia Sacerdote, presidente di “Bambinisenzasbarre”, un’associazione milanese da 11 anni impegnata nei processi di sostegno psicopedagogico alla genitorialità in carcere con un’attenzione particolare ai figli (100 mila ogni anno in Italia) colpiti dall’esperienza di detenzione di uno o entrambi i genitori.
Chi sono i bambini dietro le sbarre delle carceri italiane?
«Nonostante gli auspici della Legge 62 di due anni fa, ci sono attualmente 40-50 bambini sotto i 6 anni; a San Vittore a Milano ho recentemente incontrato una donna incinta. Per questo, l’Italia è stata richiamata più volte dal Comitato Onu per la Crc, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Non sempre si tratta di donne che hanno commesso reato gravi. È il caso ad esempio di alcune straniere, magari fermate perché trasportavano dosi di droga, o donne rom: non hanno un domicilio fisso e quindi non usufruiscono di misure alternative al carcere. Così i loro figli si trovano, negli anni cruciali per lo sviluppo, in condizione di reclusione inadatte all’infanzia. Vivono con una mamma senza potestà, che non può decidere nulla e questo ha risvolti gravi sulla relazione educativa. Spesso frequentano nidi e asili interni alla struttura; non sempre ci sono educatori per facilitare l’uscita dal carcere e tutto è lasciato al volontariato. A Sassari, c’è un solo bambino: la situazione è assurda, sta crescendo senza incontrare coetanei. Fino al 2011, al compimento dei tre anni, arrivava il momento della separazione tra la madre e il bambino che avevano vissuto fino a quel momento in simbiosi: non riesco a togliermi dagli occhi la scena di un bambino strappato dalla mamma. Ora invece, se la madre non può essere liberata, viene trasferita all’Icam».
Cosa dice la Legge 62?
«Nel 2001, la Legge Finocchiaro per la prima volta dava attenzione alla genitorialità detenuta, ma erano solo i primi passi. Dieci anni dopo, la Legge 62 del 2011, che entrerà pienamente in vigore a gennaio 2014, ha recepito l’idea del carcere come extrema ratio ma ha deluso molte aspettative. Si dice che una madre con un bambino sotto i 6 anni non deve essere detenuta, salvo reati gravi o di allarme sociale. Il problema è che questa formula è vaga e discrezionale, non chiarisce di quali reati si parla. Secondo noi, i bambini non devono proprio andare in carcere. Invece, rischiamo di trovarci di fronte a un paradosso: se prima della riforma i bambini che potevano essere detenuti con le mamme avevano massimo 3 anni, con l’entrata in vigore della nuova legge, rischiano di restare detenuti sino ai 6 anni. Rimane poi il rischio che il bambino venga detenuto sia in via cautelare, sia in esecuzione di pena, nonostante per questa seconda ipotesi siano state agevolate le condizioni per accedere ai domiciliari speciali. Inoltre, non viene garantito il diritto alla madre di poter assistere il figlio in caso di malattia per tutto il periodo dell’ospedalizzazione e permane l’automatica espulsione della donna extracomunitaria irregolare, che abbia scontato la pena, con tutte le conseguenze che questo implica sul figlio».
Accanto ai domiciliari, quali sono le alternative al carcere per le mamme con bambini?
«Nella Legge, vengono finalmente introdotte le Case Famiglie Protette, realtà completamente sganciate dal mondo penitenziario. Sicuramente sarebbero la soluzione migliore, ma questo istituto non viene promosso dal Ministero della Giustizia. Devono essere interamente finanziate dagli enti locali, che sono già colpiti da forti tagli. L’unica vera alternativa rimangono quindi le Icam (Istituti di Custodia Attenuata per Madri detenute), dove i bambini rimangono fino ai 6 anni e, in alcuni casi, 10. Pur trattandosi di strutture sempre e comunque detentive, garantiscono condizioni decisamente migliori del carcere, con un buon accompagnamento educativo. In questo caso, il problema è quando, all’uscita dall’Icam, manca un percorso di reinserimento successivo. Nelle Icam c’è poi un problema di posti: il Ministero ne aveva previste 5, ma al momento ci sono solo quelle di Milano e Venezia».
Poi ci sono i bambini “liberi” che hanno un genitore detenuto.
«Sì, sono 100 mila in Italia e una volta alla settimana vanno a trovare il genitore, con cui è importante mantengano una relazione. Sono bambini come gli altri, ma in quel momento hanno dei bisogni particolari che vanno riconosciuti. Spesso sono arrabbiati, tendono a perdonare il genitore, ma non sanno bene con chi prendersela. Solo il 35% degli istituti è provvisto di locali destinati alle visite dei bambini. Già anni fa, proponemmo di creare degli spazi di incontro genitori-figli fuori dal carcere, ma senza risultato. Le prigioni sono luoghi inadatti per i bambini, basti pensare che nel 2009 il Ministero ha dovuto fare una circolare per invitare gli operatori a sorridere quando li incontravano».
Cos’è lo Spazio Giallo?
«Nella sala d’attesa del carcere milanese di San Vittore, dove la folla dei parenti fa la fila per consegnare pacchi e soldi e per incontrare il detenuto, abbiamo creato questo progetto pilota, dove i nostri operatori offrono uno spazio socio-educativo ai bambini prima e dopo il colloquio. San Vittore è una casa circondariale, dove stanno i detenuti arrestati da poco: i minori sono nervosi, arrabbiati, spesso rompono tutto. In uno spazio analogo dei carceri di Bollate e Opera, incontriamo invece i figli dei detenuti di lungo periodo: sono bambini più rassegnati e a rischio depressione. Abbiamo presentato al Ministero un progetto per estendere a tutt’Italia il sistema Spazio Giallo, sottolineando che non è un parcheggio ma una vera presa in carico globale per stare accanto ai bambini in momenti delicati come la perquisizione e il colloquio. Quando il detenuto viene trasferito da San Vittore a Opera o Bollate, l’educatore che segue la famiglia o il bambino rimane lo stesso. Dare attenzione a questi bambini è un investimento sul futuro: un terzo dei genitori reclusi che incontriamo nei nostri gruppi in carcere, a loro volta hanno avuto un genitore detenuto».