Zachariah aveva solo 12 anni quando dei soldati di un gruppo
armato circondarono la sua scuola, in una zona rurale del
Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, e lo condussero con molti altri compagni nella
foresta. Venne esposto a pericoli, sofferenze, percosse,
malnutrizione e malattie, prima di essere finalmente rilasciato. La maggior parte dei suoi compagni di scuola erano morti.
Nel
novembre del 2005, dopo la sua smobilitazione, tornò al suo
villaggio natale per ritrovare i genitori e le sorelle che non aveva più
rivisto. Sei settimane dopo, uomini fedeli a Laurent Nkunda lo
cercarono a casa sua. “Mi hanno chiesto l’ attestato di uscita [dalle
forze armate], l’hanno strappato e mi hanno picchiato. Hanno accusato
mio padre di ospitare un disertore e l’hanno fatto cadere a terra. Poi
hanno saccheggiato la casa, mi hanno legato e mi hanno portato via.
Quando sono arrivato al loro campo, ero talmente impaurito che li ho
implorati di prendermi a lavorare con loro”. Zachariah rimase per tre
settimane al servizio di un capo fedele a Nkunda, ma una notte riuscì a scappare. Quando Amnesty International lo ha incontrato, Zachariah si era rifugiato in un Centro di Transito e Orientamento (CTO).
L'aspetto più drammatico della violenza contro un minore è che
provocherà una ferita profonda, che si riverberà indelebilmente sulla sua vita futura. Pochi crimini sono aberranti quanto impiegare un minore in un conflitto armato: non solo perché così lo si derubererà dell'infanzia e lo si priverà di una famiglia, ma perché si comprometterà, spesso irrimediabilmente, la sua possibilità di uno sviluppo sano ed equilibrato. Una volta diventato adulto, se mai lo diventerà, sarà un essere umano mutilitato. Spesso di un arto, sempre della dignità. Oggi al mondo più di 250 mila minori conoscono questa terribile realtà.
Il 12 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro l'impiego dei minori nei conflitti armati. In questa data infatti, nel 2002, è entrato in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia, uno strumento giuridico ad hoc che vieta il coinvolgimento dei minori in guerra, sia nell'esercito regolare sia in gruppi armati di qualsiasi genere.
Tra le "Sei Gravi Violazioni" individuate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per
proteggere i bambini durante i conflitti armati e porre fine
all’impunità dei responsabili, è stato infatti inserito il reclutamento dei minori. In 14 anni 153 Stati, Italia compresa, hanno ratificato il Protocollo. Si è trattato di un enorme passo in avanti, anche se il limite minimo di 18 anni viene imposto soltanto per
l’arruolamento coercitivo, ma non per il reclutamento volontario negli
eserciti regolari.
E va comunque rimarcato che, nei Paesi dove bambini e adolescenti sono arruolati, forzatamente o meno, è scarsa se non inesistente la considerazione per le leggi internazionali e il rispetto dei diritti umani in genere. Tanto che, negli ultimi anni, il numero dei bambini soldato è cresciuto a dismura. E' notizia recente la denuncia di Save the Children sulla situazione nella Repubblica Centrafricana, dove si stima siano stati coinvolti nei combattimenti più di 6 mila minori.
I conflitti attualmente in corso, in Centrafrica così come in Sud Sudan e in Siria, hanno purtroppo confermato questa tendenza. "I bambini soldato sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano
di essere pagati e se dici loro di uccidere, loro uccidono", ha sintetizzato cinicamente un ufficiale dell'esercito nazionale del Ciad.
La proliferazione di armi leggere e maneggevoli ha favorito negli ultimi anni l'impiego dei minori in guerra.
Ma non si tratta solo di questo. Il bisogno di protezione, l'essere facilmente plagiabili, l'introduzione all'uso di droghe sono concause altrettanto frequenti, così come rapimenti che spesso avvengono dopo che il minore ha assistito impotente all'uccisione dei suoi familiari. Quando l'arruolamento è volontario, invece, è il desiderio di trovare un’identità e un gruppo di appartenenza, o più semplicemente la fame.
Vista la natura stessa dei conflitti in cui sono impiegati, è molto difficile fare stime esatte. Quel che è certo è che sono aumentate considerevolmente le segnalazioni nei gruppi armati di bambine e adolescenti, molte delle quali rimaste orfane e senza altro posto dove andare. Perciò tendono a cercare rifugio e protezione
negli eserciti per sfuggire alle dure condizioni della vita di strada,
ma una volta arruolate vengono ridotte in schiavitù, costrette a
soddisfare i desideri, anche sessuali, dei combattenti. E nel caso in cui riescano a fuggire, per loro sarà molto difficile superare il trauma subito, anche perché spesso si troveranno a subire lo stigma della prigionia nelle milizie armate.
Nel 1999 si è costituita la Coalizione italiana Stop all'uso dei Bambini Soldato; nata inizialmente come strumento di pressione per la ratifica globale e il rispetto del Protocollo opzionale, oggi la Coalizione continua la sua opera di sensibilizzazione sulla tutela specifica dell’infanzia nelle condizioni di guerra e nei conflitti armati: è di fatto un organo di coordinamento sul tema formato da Ong, italiane e internazionali, impegnate nella tutela dei minori a 360°: Alisei, Cocis, Coopi, Intersos, Save the Children, Telefono Azzurro, Terre des Hommes e Unicef.
In concomitanza con la Giornata mondiale contro l'impiego dei bambini soldati, la Coalizione ha lanciato il sito www.bambinisoldato.it Uno spazio interamente dedicato al tema, con news in lingua italiana, approfondimenti e una sezione "Attivati", dove scaricare materiali da condividere e diffondere sui social network, per partecipare in prima persona e sostenere concretamente le campagne.