I giovani italiani, scoraggiati dalla mancanza e dalla precarietà del lavoro, non sono al centro delle politiche economiche di crescita. Complice la scuola che prepara a carriere individuali e non più alla costruzione di una società nuova. Vale la pena non far cadere nel vuoto la ricerca presentata al Future Forum, la rassegna sul futuro e sull'innovazione che si è svolta a Udine fra il 20 ottobre e il 20 novembre.
«I giovani dovrebbero essere i protagonisti della storia di un Paese che mette in campo le sue potenzialità per costruire un futuro migliore», ha spiegato Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale all'Università Cattolica di Milano. «Invece siamo agli ultimi posti in Europa per il maggior rapporto di giovani che vivono ancora con i genitori e i cosiddetti neet, di età tra i 15 e i 29 anni, che non sono occupati né studiano né sono in cerca di un lavoro».
Una tendenza che non è da ascrivere né a motivi culturali né al senso di protezione tipico della famiglia mediterranea. Ma a fattori strutturali economici. «È scesa dal 40,6 al 31,4 la percentuale di chi dichiara di stare in famiglia per comodità», precisa Rosina. «La motivazione legata alle difficoltà economiche è invece passata dal 34 al 40,2%. Peggio: quasi il 50% di quelli che dichiarano di voler vivere da soli non ce la fa e il 70% di quelli che ci provano sono costretti a tornare indietro».
Il problema è a monte. I Paesi che considerano i giovani come una risorsa sono quelli che investono maggiormente in innovazione, formazione e ricerca, nonché in politiche attive del lavoro. E sono i Paesi trainanti in Europa, quelli con meno diseguaglianze e quelli in cui i giovani lavorano di più e sono indipendenti prima.
I millennials, giovani diventati maggiorenni attorno al 2000, sono nativi digitali. Sicuri di sé e delle proprie capacità. Aperti al cambiamento. In grado di produrre discontinuità rispetto al passato, portati a produrre innovazione. Quindi, non chiamiamoli più bamboccioni. Semmai frustrati. Scoraggiati. Disinnamorati della vita politica. Conclude Adolfo Scotto Di Luzio, docente di Storia delle istituzioni scolastiche ed educative all'Università di Bergamo: «C’è una clamorosa assenza di protagonismo politico dei giovani nelle società contemporanee: i giovani sono per la prima volta del mondo moderno politicamente latitanti».