Torna il tema
delle banche armate, e questa volta gli ordigni sono nucleari.
Proprio nei giorni in cui l’Organizzazione per la proibizione delle
armi chimiche (Opcw) riceve il Premio Nobel per la Pace, la Campagna
internazionale contro le armi nucleari (Ican) svela come 298
istituzioni finanziarie pubbliche e private continuino a investire
circa 314 miliardi di dollari a vantaggio di 27 compagnie e industrie
internazionali
coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione di questo
tipo di ordigni.
Lo dice la ricerca “Don’t
Bank on the bomb” di
Ikv
Pax Christi Olanda e Profundo, realizzata per
la coalizione internazionale.
Banche e
istituti di credito che il rapporto ha inserito nella “Hall of
shame”, la “Lobby della vergogna”. Hanno sede negli Stati
Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, ma anche con importanti nomi indiani,
giapponesi e tedeschi.
Sono coinvolti
anche due gruppi bancari ampiamente operativi nel nostro Paese: si
tratta del gruppo francese Bnp
Paribas, che
svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti a 20 ditte
internazionali produttrici di armamenti nucleari per un valore di
oltre 5,36 miliardi di
dollari,
e
della tedesca Deutsche
Bank (4,76 miliardi).
«Proprio
questi due gruppi bancari», commenta Giorgio
Beretta, coordinatore della Campagna di pressione alle “banche
armate”, «sono
anche i
più attivi nelle operazioni di sostegno all'export di sistemi
militari convenzionali dal nostro Paese.
Nonostante varie richieste, questi due gruppi non
si sono ancora dotati di direttive rigorose e di rapporti trasparenti
circa tutta la loro attività di finanziamento e servizi
all'industria bellica».
Con le
statunitensi Bank of America, BlackRock e JP Morgan Chase, la
giapponese Mitsubishi UFJ Financial e la britannica Royal Bank of
Scotland formano il gruppo delle realtà finanziare “most heavily
involved” (più pesantemente coinvolte) nel sostegno ai produttori
di armi nucleari.
Il Rapporto segnala anche le britanniche
Royal Bank of Scotland (oltre
5,6 miliardi di dollari), HSBC
(4
miliardi), Barclays
(3,4
miliardi), i gruppi francesi Crédit
Agricole (4,5
miliardi), AXA
(3,6
miliardi) e Société
Générale (3,3
miliardi), la svizzera UBS (3,3 miliardi) e la tedesca Commerzbank
(2,4 miliardi).
Daniela
Varano, del coordinamento internazionale di Ican, invita i clienti
alla mobilitazione: «Dovrebbero
rendere
chiaro ai propri istituti di credito che non vogliono assolutamente
che i propri risparmi siano utilizzati per finanziare l’industria
militare nucleare.
È importante e urgente che i correntisti
scrivano a queste banche per chiedere direttive che escludano il
finanziamento alle industrie produttrici di materiale bellico e
affinché gli istituti di credito rendano trasparente la propria
partecipazione e i servizi che offrono alle aziende che producono
sistemi sia civili che militari».
Infatti, diversamente dalle armi chimiche e biologiche, quelle
nucleari
sono gli unici armamenti di distruzione di massa non ancora messi al
bando dal diritto internazionale.
Nell'"Albo d'onore" degli istituti di credito che non hanno a che fare con l'industria bellica c'è Banca Etica
Rispetto al
Rapporto del 2012, l’Italia esce “più pulita”. Un anno fa, tra
le aziende che erano coinvolte nella produzione l’Ican citava anche
Finmeccanica,
la compagnia italiana di cui il Ministero dell’Economia è il
maggiore azionista (detiene il 32,45% delle azioni). A seguito di
quella pubblicazione, nell’Agosto 2012, Finmeccanica ha però
annunciato in una lettera di «non
essere coinvolta nella produzione di armi nucleari».
Spiega la
Rete per il Disarmo, partner italiano
dell’Ican: «Ricerche
indipendenti degli autori del report hanno confermato la scadenza dei
contratti relativi ad armi nucleari da parte del colosso militare
italiano, proprio nel 2012. Ciò ha portato all’esclusione dalla
lista, ma con l’impegno di un continuo monitoraggio e la ricerca di
conferme da parte dell’azienda, per non dover giungere in futuro a
inserire nuovamente Finmeccanica nella lista di
produttori/sviluppatori di armamento nucleare».
Questa scelta
ha ovviamente inciso sulla presenza nel rapporto di istituti di
credito del nostro Paese. Nell’edizione precedente, infatti,
venivano
elencate 13 banche italiane, mentre ora ne figurano solo due:
Intesa
Sanpaolo, con
finanziamenti a Bechtel, Boeing, Eads, Fluor, Honeywell
International, Northrop Grumman e Thales per un valore di 819
milioni di dollari, e
UniCredit,
con
prestiti di 1,43 miliardi a Eads, Honeywell International, Northrop
Grumman, Thales e ThyssenKrupp.
L’unica
altra banca italiana citata nel Rapporto è
Banca Etica.
Ma per una buona notizia: è inserita, insieme ad altre 11, nella
“Hall
of fame”, l’“Albo d’onore” delle banche che
hanno adottato una strategia in grado di prevenire in maniera
completa qualsiasi coinvolgimento finanziario con compagnie che
producano armi nucleari.