Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
martedì 17 settembre 2024
 
 

Banche armate. E nucleari

21/10/2013  La Campagna internazionale contro le armi nucleari svela che sono 298 le istituzioni finanziarie che finanziano il nucleare militare. Il Rapporto “Don’t Bank on the bomb” le inserisce nella “Lobby della Vergogna”. Due (straniere) operano anche nel nostro Paese, e due sono italiane. Ma anche l’“Albo d’onore”, la lista di quelle virtuose, ha una presenza nostrana: Banca Etica.

Torna il tema delle banche armate, e questa volta gli ordigni sono nucleari. Proprio nei giorni in cui l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) riceve il Premio Nobel per la Pace, la Campagna internazionale contro le armi nucleari (Ican) svela come 298 istituzioni finanziarie pubbliche e private continuino a investire circa 314 miliardi di dollari a vantaggio di 27 compagnie e industrie internazionali coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione di questo tipo di ordigni.

Lo dice la ricerca “Don’t Bank on the bomb” di Ikv Pax Christi Olanda e Profundo, realizzata per la coalizione internazionale. Banche e istituti di credito che il rapporto ha inserito nella “Hall of shame”, la “Lobby della vergogna”. Hanno sede negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, ma anche con importanti nomi indiani, giapponesi e tedeschi.

Sono coinvolti anche due gruppi bancari ampiamente operativi nel nostro Paese
: si tratta del gruppo francese Bnp Paribas, che svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti a 20 ditte internazionali produttrici di armamenti nucleari per un valore di oltre 5,36 miliardi di dollari, e della tedesca Deutsche Bank (4,76 miliardi). «Proprio questi due gruppi bancari», commenta Giorgio Beretta, coordinatore della Campagna di pressione alle “banche armate”, «sono anche i più attivi nelle operazioni di sostegno all'export di sistemi militari convenzionali dal nostro Paese. Nonostante varie richieste, questi due gruppi non si sono ancora dotati di direttive rigorose e di rapporti trasparenti circa tutta la loro attività di finanziamento e servizi all'industria bellica».

Con le statunitensi Bank of America, BlackRock e JP Morgan Chase, la giapponese Mitsubishi UFJ Financial e la britannica Royal Bank of Scotland formano il gruppo delle realtà finanziare “most heavily involved” (più pesantemente coinvolte) nel sostegno ai produttori di armi nucleari.

Il Rapporto segnala anche le britanniche Royal Bank of Scotland (oltre 5,6 miliardi di dollari), HSBC (4 miliardi), Barclays (3,4 miliardi), i gruppi francesi Crédit Agricole (4,5 miliardi), AXA (3,6 miliardi) e Société Générale (3,3 miliardi), la svizzera UBS (3,3 miliardi) e la tedesca Commerzbank (2,4 miliardi).

Daniela Varano, del coordinamento internazionale di Ican, invita i clienti alla mobilitazione: «Dovrebbero rendere chiaro ai propri istituti di credito che non vogliono assolutamente che i propri risparmi siano utilizzati per finanziare l’industria militare nucleare. È importante e urgente che i correntisti scrivano a queste banche per chiedere direttive che escludano il finanziamento alle industrie produttrici di materiale bellico e affinché gli istituti di credito rendano trasparente la propria partecipazione e i servizi che offrono alle aziende che producono sistemi sia civili che militari».

Infatti, diversamente dalle armi chimiche e biologiche, quelle nucleari sono gli unici armamenti di distruzione di massa non ancora messi al bando dal diritto internazionale.

Nell'"Albo d'onore" degli istituti di credito che non hanno a che fare con l'industria bellica c'è Banca Etica

Rispetto al Rapporto del 2012, l’Italia esce “più pulita”. Un anno fa, tra le aziende che erano coinvolte nella produzione l’Ican citava anche Finmeccanica, la compagnia italiana di cui il Ministero dell’Economia è il maggiore azionista (detiene il 32,45% delle azioni). A seguito di quella pubblicazione, nell’Agosto 2012, Finmeccanica ha però annunciato in una lettera di «non essere coinvolta nella produzione di armi nucleari».

Spiega la Rete per il Disarmo, partner italiano dell’Ican: «Ricerche indipendenti degli autori del report hanno confermato la scadenza dei contratti relativi ad armi nucleari da parte del colosso militare italiano, proprio nel 2012. Ciò ha portato all’esclusione dalla lista, ma con l’impegno di un continuo monitoraggio e la ricerca di conferme da parte dell’azienda, per non dover giungere in futuro a inserire nuovamente Finmeccanica nella lista di produttori/sviluppatori di armamento nucleare».

Questa scelta ha ovviamente inciso sulla presenza nel rapporto di istituti di credito del nostro Paese. Nell’edizione precedente, infatti, venivano elencate 13 banche italiane, mentre ora ne figurano solo due: Intesa Sanpaolo, con finanziamenti a Bechtel, Boeing, Eads, Fluor, Honeywell International, Northrop Grumman e Thales per un valore di 819 milioni di dollari, e UniCredit, con prestiti di 1,43 miliardi a Eads, Honeywell International, Northrop Grumman, Thales e ThyssenKrupp.

L’unica altra banca italiana citata nel Rapporto è Banca Etica. Ma per una buona notizia: è inserita, insieme ad altre 11, nella “Hall of fame”, l’“Albo d’onore” delle banche che hanno adottato una strategia in grado di prevenire in maniera completa qualsiasi coinvolgimento finanziario con compagnie che producano armi nucleari.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo