Di banche del latte materno si torna a parlare ma come esempio di responsabilità sociale che parte da un'azienda privata, la Granarolo, finanziatrice di un progetto di raccolta, trattamento e conservazione del latte di donna per metterlo a disposizione di bambini, prematuri o che necessitano di lunghe degenze, delle unità di neonatologia di Bologna dove ogni anno nascono più di cento prematuri con peso inferiore a 1500 grammi.
“Allattami” è la prima banca privata del latte umano donato che apre la strada a nuovi scenari, se pensiamo che le banche del latte sono strutture pubbliche inserite in ospedali dove c'è una terapia intensiva, ma che non coprono l'intero territorio nazionale quanto a numero e richiesta di latte. E soprattutto non fanno rete. Il confronto con il Nord Europa è perso in partenza.
Se in Italia le banche del latte, oggi 27 rispetto alle 138 terapie intensive e tutte relativamente recenti, faticano a decollare, a livello europeo ce ne sono 167: i paesi che ne hanno di più in assoluto sono quelli nordici: Svezia, Finlandia e Norvegia. Il Children Hospital di Helsinki, per esempio, ha una esperienza che supera il mezzo secolo: ogni ospedale ha la sua banca del latte, parte integrante di una cultura e di una buona pratica che da noi difettano. In Brasile, dove l'intervento dello Stato è importante e il latte materno è un vero e proprio farmaco salvavita, sono 200, e la distribuzione è capillare.
La prima in Italia fu aperta presso il Meyer di Firenze nel 1971, e tuttora la Toscana, con 6 che fanno rete, è la regione più attrezzata. In Lombardia, l'unica, dal 1985, è quella della Terapia Intensiva Neonatale e Neonatologia Macedonio Melloni della Città di Milano, e un'altra dovrebbe aprire entro fine anno presso l'ospedale meneghino San Giuseppe. Ma tante regioni ne sono sprovviste, soprattutto al Centro-Sud: un esempio è la Sardegna.
Nel Lazio invece ce n'è una sola, nata nel 1989: il Lactarium dell'ospedale pedriatico Bambino Gesù, unico centro di raccolta del latte di donna nella regione, dove vi arrivano richieste anche da altre regioni limitrofe che ne sono sprovviste. Richieste che il nosocomio non riesce, ovviamente, a soddisfare. Un problema, nel nostro Paese, aperto da tempo e che attende un ripensamento della politica sanitaria nazionale.
Il bisogno di latte materno è in crescita soprattutto per il numero maggiore di bambini prematuri per i quali è un elemento fondamentale, in quanto ricco di preziosi acidi grassi. La quantità da soddisfare è importante: basta pensare che, se a un prematuro in terapia intensiva bastano dieci grammi a poppata, a un lattante di 2-3 mesi servono sei o sette pasti da 150 grammi. E le banche, poche e distribuite a macchia di leopardo, devono fare i conti con la scarsa informazione: le mamme donatrici sono un numero esiguo rispetto a quelle che vorrebbero donare ma non sanno a quali strutture rivolgersi.
Nasce a Milano, in via Teodosio 67, Alado, prima agenzia del latte di donna, fondata dal pediatra e neonatologo Guido Moro, presidente dell'Associazione italiana delle banche del latte umano donato (Aiblud) e di quella europea (Emba).
Professor Moro, in cosa consiste l'unicità di Alado?
«È una diramazione dell'Aiblud e offre un servizio alle mamme che allattano o vogliono allattare al seno, fornendo tre tipi di consulenza teorico-pratica: pediatrica, sull'allattamento e sui presidi da usare, come il tiralatte, che vanno a risolvere quelle situazioni temporanee che impediscono alla mamma di attaccare il bambino. Operiamo anche come centro di raccolta, lavorazione e conservazione del latte materno: siamo l'unico centro in Europa che consente alle mamme di allattare quando ci sono controindicazioni cliniche, come nei casi di hiv. Le mamme si tolgono il latte, ce lo portano e noi lo pastorizziamo, eliminando ogni rischio per la salute. In una banca del latte questo non è possibile: l'Oms consiglia di allattare solo se la mamma sieropositiva vive in un Paese in via di sviluppo, dove l'hiv è endemico, perché il rischio di trasmettere il virus al neonato è inferiore a quello di perderlo utilizzando una formula: l'acqua è molto inquinata e può causare infezioni gastriche mortali».
- Le donne italiane sono poco informate sulla donazione di latte materno rispetto alle neo mamme europee?
«Sì, nel resto dell'Europa, e in buona parte del mondo, c'è più consapevolezza, dovuta a una cultura radicata sul territorio ormai da generazioni. I paesi scandinavi ne sono un esempio. Proprio per sopperire a questa mancanza, Alado si pone come un centro di informazione che le aiuta a donare il latte o a richiederlo presso le apposite banche del latte, con indicazioni, nominativi e numeri di telefono.
- La donazione di latte di donna è solo una questione di solidarietà e generosità?
«No, il latte materno è il gold standard utile non solo quando le mamme non possono allattare, ma soprattutto nei casi di prematuri e neonati a rischio sottoposti alle cure invasive della terapia intensiva, perché offre una importante protezione contro l'enterocolite necrotizzante, causa di decessi e invalidità successive: negli ospedali con una banca del latte, i prematuri hanno un'incidenza di questa malattia inferiore del 50% rispetto a quelli nutriti con il latte formulato. Il latte materno ha dei vantaggi di tipo nutrizionale, immunologico, psicologico ed economico. Oms, Unicef, Unione europea e società scientifiche pediatriche raccomandano l'allattamento materno esclusivo per i primi sei mesi di vita del bambino».
- Perché le banche del latte faticano a decollare nel nostro Paese?
«Il pretesto economico è addotto per mascherare una mancanza generalizzata di cultura, e anche di interesse da parte di alcuni neonatologi e della politica. Per mettere in piedi una banca del latte ci vogliono circa 60 mila euro, che non è un costo eccessivo. La nostra associazione non dà denaro ma fornisce i macchinari essenziali al buon funzionamento di una banca del latte: è l'ospedale che si deve accollare gli oneri di gestione e manutenzione. Ma i costi si ammortizzano con degenze ospedaliere più brevi e meno complicanze. Ultimamente c'è più sensibilizzazione da parte del governo, con cui abbiamo stilato le linee di indirizzo nazionale per l'organizzazione e la gestione delle banche del latte. Anche i fautori dell'allattamento al seno si sono resi conto che avere una banca del latte significa potenziare l'allattamento, e non diminuirlo».
- L'anno scorso, il caso clamoroso della mucca argentina Rosita Isa, clonata per produrre latte umano. Al di là di un'indubbia questione etica e morale, sarà possibile utilizzare questo latte per i prematuri?
«Non credo che sia la soluzione del futuro perché non è ancora chiaro se le proteine siano uguali a quelle del latte di donna o se ci siano delle differenze che, se pur minime, possono portare a complicazioni. La soluzione migliore è organizzarsi bene, incrementare la raccolta da mamme che producono latte in abbondanza e utilizzarlo per ricavare delle frazioni con cui arricchire il latte di donna da somministrare ai neonati. È solo che alla ricerca serve denaro».
L'appello in difesa del latte materno e della sua donazione alle banche del latte è stato lanciato durante l'XVIII Congresso nazionale della Società italiana di neonatologia, che quest'anno ha coinciso con la settimana mondiale dell’allattamento. Non sprecare il latte umano, quando è in eccesso, è come donare il sangue. Di sicuro, è un gesto di solidarietà che può salvare una vita. L'allattamento materno esclusivo per i primi sei mesi fa bene alla mamma e al bambino. In particolare, riduce del 36% il rischio di Sids (sindrome da morte improvvisa del lattante) e del 52% le possibilità che il bambino sviluppi la celiachia.
Altri vantaggi si riscontrano a favore degli apparati intestinale, respiratorio e neurologico, oltre che nella prevenzione di patologie allergiche, asma, dermatiti, diabete mellito, obesità, e nell'effetto protettivo nei confronti della leucemia della seconda infanzia. I benefici diventano ancor più importanti nei nati pretermine – 50mila ogni anno – per i quali il latte materno equivale a una terapia salvavita. Ma a necessitare di latte naturale sono anche i bambini che hanno subito un intervento chirurgico o con malattie metaboliche.
Proprio per queste motivazioni sorgono le banche del latte umano, come una grande nutrice dei vecchi tempi che sopperisce a tutti quei casi in cui non è possibile attaccare il neonato alla mamma. Allattare al seno - in Italia lo fa solo il 65,4% delle donne in modo esclusivo – non fa bene solo al bambino: oltre ad accelerare la ripresa dalla gravidanza e dal parto, riduce il rischio di cancro della mammella e contribuisce al benessere psicofisico. La tendenza, oggi, è allo svezzamento precoce: il 69,4% delle donne allatta subito dopo il parto ma solo il 56,4%, il 9,6% e lo 0,9% continua a farlo rispettivamente dopo 3, 6 e 12 mesi.
«Numeri che – afferma il presidente del Sin Paolo Giliberti – denunciano l’esistenza di un duplice problema: da un lato la mancanza di informazione, dall’altro l’inadeguatezza, tuttora persistente, del sostegno alle donne in difficoltà con l’allattamento». Ribaltando la radicata abitudine nata negli anni ’60 di ricorrere al latte artificiale, considerata a lungo quale alternativa equivalente all’allattamento materno, i neonatologi invitano le neo mamme a stabilire un contatto a pelle con il neonato sin da subito dopo il parto.
«Compito di noi medici, ma anche delle istituzioni – continua Giliberti – è far comprendere alle donne l’importanza del latte materno per la salute del bambino e accompagnarle nelle difficoltà e nelle gioie dell’allattamento, garantendo loro la libertà, il tempo e le giuste modalità sin dal primo momento e una volta tornate al lavoro».