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lunedì 09 settembre 2024
 
 

Banche e armi, questione di feeling

22/05/2015  In occasione del decimo anniversario della sua nascita Opal di Brescia (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa) affronta in un convegno il controverso rapporto fra istituti di credito e mercato bellico. Il quadro? Fra luci (poche) e ombre. Specie sul versante della trasparenza nelle informazioni, anche del Governo.

È un'opera continua di sensibilizzazione quella svolta dall'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) di Brescia, sul problema dell'esportazione di armi. Ne è prova la serie di eventi in occasione del decimo anniversario della sua costituzione. Sabato 23 maggio, a partire dalle 9.30, presso i Missionari Saveriani (via Piamarta 9, Brescia), ci sarà il convegno “Banche e armi: tra mercato e responsabilità sociale”.

Moderati dalla giornalista Lucilla Perrini, interverranno Giorgio Beretta (analista Opal), padre Mario Menin (direttore mensile “Missione Oggi"), Damiano Carrara (responsabile RSI di Ubi Banca), Valter Serrentino (responsabile RSI di Intesa Sanpaolo), Fabio Silva (presidente Organismo di vigilanza di Banca Popolare Etica). «Affronteremo alcuni dei nodi più complessi e controversi della produzione e del commercio di armamenti, tra cui quelli del finanziamento all'industria militare e dei servizi alle esportazioni di armi», dice Piergiulio Biatta, presidente di Opal. «Si tratta di temi tuttora spesso vincolati ad un duplice segreto ­– quello militare e quello bancario – e che vanno considerati, non solo all'interno delle politiche di difesa dello Stato, ma nel più ampio contesto della promozione della sicurezza e della pace a livello internazionale».

Una questione che evidentemente rimane spinosa. Opal ha invitato al convegno tutti i principali istituti di credito, italiani ed esteri, che operano in Italia, affinché intervenissero a presentare le proprie politiche riguardo si servizi e ai finanziamenti offerti alle aziende del settore militare, in particolare quelle relative alle esportazioni di sistemi militari e armi leggere, ma «pochi hanno risposto positivamente», afferma Giorgio Beretta, «alcuni hanno accettato di partecipare come pubblico, molti si sono defilati, paradossalmente anche quelli virtuosi».

Sempre meno trasparenza

Continuare a parlarne è importante perché la sensazione è che si faccia un passo avanti e due indietro. Se la domanda è: come si comportano le banche? La risposta è abbastanza rassicurante. «Le nostre banche», aggiunge Beretta, «si sono dimostrate molto più responsabili dei nostri governanti; molte si sono dotate di codici di responsabilità sociale e perseverano su quella strada. Qualche anno fa Ubi Banca (Banco di Brescia, Banca Popolare di Bergamo...) ha rifiutato un'operazione di cinque milioni di euro sul Turkmenistan per fucili di assalto».

Il sistema politico, invece, ha remato contro, rendendo la trasparenza un fatto sempre più opzionale. Così quello che oggi manca al Parlamento, che ha il ruolo di controllo dell'attività autorizzativa dell'esecutivo, sono innanzitutto le informazioni: chiare, semplici, comprensibili. «Necessarie per espletare il ruolo», spiega l'analista. Giulio Andreotti fu il primo presidente del Consiglio a inviare alle Camere, il 9 maggio 1991, la “Relazione sulle esportazioni di armamenti”. Era dettagliata: quantità, valore, tipologia del sistema d'arma e Paesi destinatari. Un parlamentare avrebbe avuto in mano tutti gli elementi per chiedere, per esempio, giustificazione di quelle 10.750 tra pistole e mitragliatrici vendute all'Algeria, considerato che proprio in quei giorni nel Paese nordafricano stavano avvenendo arresti forzati e scontri che avrebbero portato presto alla “guerra civile”».

Ma evidentemente, «questo non piacque alla lobby dell'industria armiera nazionale», riprende lo studioso, «che vedeva minacciati i propri interessi e, così, adducendo problemi di “riservatezza commerciale”, poco a poco dalla Relazione sono spariti i Paesi destinatari, poi il valore delle esportazioni, e la terminologia usata spesso non permette di capire di che cosa esattamente stiamo parlando. Mi spiego: se nell'elenco compaiono “aeromobili”, non abbiamo modo di sapere se si tratta di elicotteri per il soccorso marino, per il trasporto truppe, o se siano Mangusta dotati di armi per l'attacco al suolo. Che, come si può ben comprendere, non è un'informazione di poco conto per sapere se il Governo ha rispettato la legge».

«Questa erosione di informazioni da parte degli ultimi governi è un fatto preoccupante», conclude padre Mario Menin, «considerato il forte incremento di esportazioni di sistemi militari dall'Italia, soprattutto verso i Paesi in zone di conflitto, a regimi autoritari, a nazioni altamente indebitate, che spendono rilevanti risorse in armamenti, e alle forze armate di governi noti per le gravi e reiterate violazioni dei diritti umani. In un contesto di forte instabilità internazionale come l'attuale, è oggi fondamentale riportare l'attenzione su questi temi e approfondire il confronto sul commercio di armi con tutte le parti in causa, compresi i settori del mondo bancario».

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