Un terremoto. Una vera e propria rivoluzione. Sta tutta in un decreto, l’Investment Compact, varato ieri con un blitz personale del premier Matteo Renzi in Consiglio dei ministri, senza nemmeno che i ministri (a parte quello dell’Economia) sapessero nulla. E’ la riforma delle Banche popolari, cui verrà imposto di cambiare la propria governance. Il cardine della riforma è l’abolizione del cosiddetto voto capitario: una persona un voto, indipendentemente dalle azioni possedute. Tutto questo avrà conseguenze radicali nel potere delle banche: i fondi di investimento e gli azionisti i possesso delle quote maggiori prenderanno il sopravvento, cancellando la grande tradizione di potere diffuso e soprattutto i legami con il territorio delle banche: se l'azionista di maggioranza è un fondo di investimento asiatico, ovvio che gli interessi del territorio verranno meno.
Il provvedimento si rivolge alle banche popolari con attivi superiori agli otto miliardi di euro. In pratica una decina di banche - il fior fiore delal finanza cosiddetta "bianca", cioé di tradizione cattolica - si trasformeranno in società per azioni. Renzi esulta e parla di “giornata storica”, con la fine di un modello vecchio e di innovazione dei mercati finanziari: “Il nostro sistema è solido e sano ma deve cambiare”. Oltre alla trasformazione delle Popolari l?invetment Compact inserisce anche alcune innovazioni sui servizi bancari, come la portabilità più facile del conto corrente da una banca all’altra. Il decreto ha suscitato un coro di proteste, soprattutto da parte del mondo cattolico e dei sindacati, che temono nuove fusioni e nuovi esuberi, in un settore che in 15 anni ha già perso 68 mila posti di lavoro. Tra le reazioni negative quella del ministro dei Trasporti Lupi (“perché la decretazione d’urgenza e non il disegno di lgge?”) e del presidente della Commissine Bilancio Boccia. Anche Stefano Fassina, vicepresidente del Pd e capo della minoranza del partito, è contrario al decreto: “L’intervento sulle banche popolari”, ha commentato, “colpisce un modello che, con tutti i suoi limiti, è uno dei pochi presidi di democrazia economica presenti nel nostro Paese”.