(Foto Reuters: qui sopra, un gruppo di "castellers" compone la torre umana detta "castell", una delle tradizioni più popolari e spettacolari della Catalogna, durante una manifestazione a Barcellona. In copertina: manifestanti a sostegno del referendum del 1° ottobre)
«Stiamo assistendo a una violazione flagrante delle leggi e dei diritti fondamentali, di riunione, di libertà di espressione, di parola, raccolti nella costituzione. In gioco non c' è l'indipendenza della Catalogna, ma la democrazia in Spagna e in Europa». Sono durissimi i commenti di Raül Romeva, segretario degli Esteri del Governo autonomo della Catalogna, contro l'azione di forza - l'arresto da parte della Guardia civil di 14 funzionari catalani - esercitata dal Governo centrale per bloccare l'organizzazione del referendum sull'indipendenza, dichiarato illegale. «Il problema qui, oggi, in questo angolo della democratica Europa, si chiama ancora franchismo», accusa Romera. «La Spagna è sì una democrazia dal punto di vista formale, ma nei gangli profondi della società, dentro il Partito popolare che è al governo, ci sono i figli, i nipoti, i clienti della classe dirigente che comandava all'epoca della dittatura di Francisco Franco. I loro riflessi condizionati sono rimasti uguali».
Lo scontro chiama in causa il rispetto delle regole democratiche, in un Paese uscito da una dittatura durata più di 35 anni anni in tempi relativamente recenti, nel 1975. E che dopo più di quarant'anni anni dalla morte del Caudillo non ha fatto completamente i conti con il suo passato. Sulla Spagna di oggi continuano ad incombere le ombre di questioni irrisolte: la legge di aministia del 1977 ha bloccato le inchieste sui crimini commessi dal regime. Nel Paese si contano centinaia di fosse comuni, molte mai aperte. Nel 2007 il Governo socialista di Zapatero ha approvato la Legge della Memoria storica, che ha stabilito la rimozione di tutti i simboli franchisti dai luoghi pubblici, dalle vie e dalle piazze. Solo pochi mesi fa il Congresso dei deputati spagnolo ha approvato una risoluzione (non vincolante per il Governo) per il trasferimento delle spoglie del Generalísimo dal complesso monumentale della Valle de los caídos, vicino a Madrid (dove si trovano dal 1975, anno della morte), in un cimitero privato.
Otto dei 14 alti funzionari del Governo catalano sono stati rimessi in libertà. Ma Josep Maria Jové, segretario generale della vicepresidenza e dell'Economia, e gli altri cinque che come lui sono ancora in arresto sono accusati dei reati di disobbedienza, malversazione e sedizione. E a Barcellona continuano le manifestazioni di protesta contro gli arresti. Il Governo catalano ha attivato un sito Internet nel quale i potenziali elettori potranno vedere dove le autorità allestiranno i seggi elettorali il 1° ottobre. I nazionalisti, dunque, non hanno intenzione di fermarsi: avanti con il referendum per la secessione.
Da parte del mondo dello sport sono arrivati molto attestati di sostegno alla consultazione popolare, a partire da Pep Guardiola, ex tecnico catalano del Barcellona F.C. (oggi al Manchester City). Ma non mancano voci di catalani noti contrarie alla secessione: come quella del cantautore barcellonese Joan Manuel Serrat (autore di brani sia in lingua catalana che in quella castigliana), preoccupato per la frattura sociale che l'indipendenza potrebbe creare e per le tante problematiche da affrontare: una fra tutte, la futura relazione di una Catalunya sovrana con l'Unione europea.