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giovedì 23 gennaio 2025
 
 

Bari, «al Cara si violano i diritti umani»

15/08/2013  Ci sono 1.400 persone dove c'è posto per 744. Sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie difficili. Un gruppo di associazioni ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Per tutelare «una folla di poveri che fugge solo dalla guerra e dalla fame».

Le carrette del mare e poi? Dove finiscono le persone che sbarcano sulle spiagge italiane? Tendenzialmente le strade sono due e la discriminante è la richiesta di asilo politico. Da un lato, chi non chiede l’asilo spesso finisce nei Cie (Centri di identificazione e espulsione), in attesa di essere rimpatriato oppure rilasciato con un foglio di via che ordina di lasciare l’Italia entro pochi giorni. Dall’altro lato, ci sono quelli che invece chiedono l’asilo o la protezione umanitaria e che vengono ospitati in uno dei sette Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo politico, in sigla Cara.

Quello di Bari Palese è stato allestito nel 2008 nel vecchio aeroporto militare: un piccolo villaggio di 124 moduli prefabbricati, montati su un grande piazzale di cemento, intorno a un grande tendone usato come mensa e sala comune.

Nei giorni scorsi, però, la Cgil di Bari, i Padri Comboniani, le Acli Puglia e le associazioni Abusuan e Saro Wiwa hanno depositato alla Procura della Repubblica un esposto sulla «palese violazione dei diritti umani» delle persone ospitate nel Cara di Bari. Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil barese, ne spiega le ragioni.

- Perchè avete scelto la strada di un esposto alla Procura?

«In questi anni non sono mancate le denunce politiche e i problemi sono ben noti, ma ci sembrava necessario un atto forte, con cui chiedere alla magistratura di verificare se ci siano delle responsabilità per una situazione perennemente in emergenza. Noi promotori siamo tutte associazioni che da anni monitorano i diritti dei migranti: nel Cara di Bari, vive un mondo di poveri che va tutelato».

- Perché parlate di “palese violazione dei diritti umani”?

«La capienza è di 744 posti, ma sistematicamente nel Cara ci sono 1400 persone, il doppio; tra di loro, ci sono anche donne e bambini. Questo sovraffollamento viola la capienza vitale minima di 7 metri quadrati per ogni persona detenuta e/o ospitata, prevista ad esempio dall'articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. È evidente che il sovraffollamento porta a gravi condizioni igienico-sanitarie, particolarmente pericolose per quei casi di malati o di persone affette da Hiv. Va tenuto presente inoltre che siamo di fronte a persone che non hanno alcuna colpa, ma scappano dalla persecuzione e dalla guerra e rivendicano un diritto previsto dalla Costituzione e dagli accordi internazionali».

- Da dove nasce il sovraffollamento?


«Secondo la legge italiana, la permanenza nei Cara può durare da 20 a un massimo di 35 giorni. In quello di Bari, mediamente, si è reclusi per mesi e mesi, a volte per anni. Il motivo? La lunghezza inaccettabile delle pratiche per la concessione, o il rifiuto, dell’asilo politico: quasi sempre passano mesi prima di essere ascoltati dalla Commissione territoriale del capoluogo pugliese. In queste audizioni, poi c’è un’altra violazione della normativa: spesso mancano degli interpreti competenti per l’esposizione della propria storia personale, decisiva ai fini dell’ottenimento dell’asilo».

- Come si passa il tempo nel Cara?

«Spesso senza fare niente, in condizioni di stress e tensione psicologica. C’è una ludoteca, ma teoricamente la permanenza dovrebbe durare solo qualche settimana e quindi non sono pensate attività sul lungo periodo per favorire l’integrazione successiva. Inoltre, gli spazi e il personale che gestisce il centro sono pensati per 744 persone, non 1400».

- Lo scorso mese, in una rissa tra i detenuti, è morto un immigrato curdo di 26 anni.

«In quell’occasione, abbiamo organizzato anche una manifestazione. La magistratura ha aperto un’indagine e vedremo i risultati, ma ci pare molto grave che un episodio del genere sia avvenuto all’interno di una struttura vigilata. Pensiamo che sia il frutto della tensione e della frustrazione che si vive nel Centro, unite alle condizioni di emarginazione e di mancanza di socializzazione».

- Cosa chiedete?

«Nell’immediato, il rispetto della legge: condizioni igieniche adeguate, la fine del sovraffollamento e della reclusione oltre i 35 giorni. Potrebbe essere molto utile favorire la socializzazione e ampliare i progetti territoriali dello Sprar (Servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). In un’ottica più ampia, andrebbero ripensate le modalità di ottenimento dell’asilo politico e anche queste strutture. Al posto di un enorme ghetto all’estrema periferia della città, pensiamo a strutture di dimensioni più umane, da integrare nella città, senza mezzi di trasporto usati solo dai “diversi”. Vanno evitati i ghetti fisici e quelli mentali: altrimenti, i baresi continueranno ad avere un’immagine distorta e negativa di persone in realtà bisognose di aiuto e in fuga da gravi situazioni».

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