Sarà rivolto al rapporto della Chiesa con le società mediterranee l’intervento del professor Adriano Roccucci, ordinario di storia contemporanea a Roma tre, che introdurrà la seconda giornata di lavori a Bari.
Qual è la cornice geopolitica in cui si inserisce questo incontro tra le Chiese del Mediterraneo?
«Il contesto geopolitico in cui l’incontro di Bari si inserisce è complesso e frammentato. In questi ultimi anni abbiamo assistito a un ritorno dell’area mediterranea al centro dei giochi geopolitici mondiali, tanto che i principali protagonisti della scena internazionale intervengono nelle dinamiche mediterranee. La Russia, che è una presenza antica, torna con rinnovato peso, basti pensare al conflitto in Siria o a quello in Libia; poi ci sono gli americani, anche se in maniera incerta per la linea politica di Trump; un loro peso economico politico hanno le azioni della Cina, pensiamo solamente al rilancio della via della Seta che nel Mediterraneo ha il suo terminale occidentale, che intende potenziare antichissime connessioni commerciali attraverso le quali sappiamo, però, che passano anche tante altre connessioni. È una situazione di frammentazione conflittuale, per la guerra in Siria, in Iraq, in Libia, ma anche per conflitti mai sanati, come quello in Terrasanta; nel fragile Libano, in difficoltà per la grossa presenza di profughi dalla Siria; o nei Balcani, dove permangono ancora delle criticità dagli anni ’90. Il tutto con una mancata politica europea del Mediterraneo, dove i singoli soggetti europei procedono in ordine sparso».
Qual è il ruolo di Russia e Turchia, che oggi sembrano guidare le grandi linee della politica nel Mediterraneo?
«La presenza russa nel Mediterraneo ha una storia lunga. Il vero ingresso della Russia in Europa è da far risalire al 1770, quando nell’ambito della guerra russo-turca la flotta dello zar entrò nel Mediterraneo e sconfisse quella ottomana. Una presenza antica che ha avuto manifestazioni più evidenti negli anni della guerra fredda, ad esempio con le basi navali e aeree che la Siria di Assad aveva concesso all’Unione sovietica. Sebbene in maniera atipica, attraverso la strettoia del Bosforo e dei Dardanelli, la Russia partecipa dal Mar Nero al sistema mediterraneo, all’idea del grande Mediterraneo. Dettato anche dalle notevoli incertezze della politica occidentale negli ultimi anni, dapprima in Siria e poi in Libia, abbiamo registrato un nuovo protagonismo russo nel Mediterraneo, che ha avuto non pochi punti di incontro con un altro protagonismo geopolitico che è quello della Turchia. È semplicistico dire che la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin siano degli alleati su questi scenari, anche perché in non pochi quadranti gli interessi di Mosca e quelli di Ankara sono divergenti se non conflittuali; pur tuttavia, in un’ottica di realpolitik, dopo un primo periodo di aspra conflittualità che arrivò vicino a un possibile scontro militare dopo l’abbattimento di due aerei russi da parte dell’esercito turco, oggi sia in Siria che in Libia vediamo un’interlocuzione che porta spesso a degli accordi basati su un principio di riconoscimento di mutue sfere di influenze»
E la Turchia?
«La visione turca del Medioriente e dell’Africa settentrionale ha le sue radici da una parte nella storia dell’impero ottomano e dall’altra nella visione geopolitica che caratterizza il governo dell’attuale Turchia, a volte definita come neo-ottomana, perché sembra recuperare l’ambizione di esercitare un’egemonia su quello che era lo spazio di sovranità ottomano. Sovranità che, su Tripolitania e Cirenaica, che finì con la guerra italo turca 1911- 12, la cosiddetta guerra di Libia. La Turchia allora estromessa oggi ritorna in Libia, sebbene in un contesto molto problematico e non definito».
Qual è il peso del fattore religioso in questo contesto?
«Fin dall’antichità il Mediterraneo si è formato come mare plurale. E il fattore religioso attesta più di altri questa pluralità di universi culturali e religiosi, che hanno sviluppato una storia di relazioni e conflitti. Parlare di “guerre di religione” è una semplificazione indebita. I diversi mondi religiosi sono al loro interno pluralisti e attraversati da conflitti legati a culture politiche e a interessi divergenti tra le potenze regionali: basti pensare a quello all’interno del mondo sunnita, con i fratelli musulmani, il Qatar e la Turchia da un lato e il mondo salafita, l’Arabia Saudita e gli Emirati dall’altro. E poi il grande conflitto tra sunniti e sciiti. Oppure al complesso e articolato mosaico delle Chiese cristiane in Medioriente, storie millenarie di fedeltà al cristianesimo, segnate anche dalla sofferenza e dal martirio. Insomma è una semplificazione indebita ridurre questa complessità a degli schemi binari conflittuali come “islam vs cristianesimo”. La Chiesa cattolica, in modo particolare penso alla missione di papa Francesco, ha una presenza in primo luogo a sostegno della causa della pace, pensiamo ai ripetuti appelli del Papa per la Siria. Un impegno notevole e importantissimo per il dialogo interreligioso, che è la via principe per costruire la pace, e penso in particolare al documento sulla fratellanza universale firmato ad Abu Dhabi con la più grande autorità del mondo sunnita, il grande imam Ahmed Al-Tayeb, sceicco di Al-Azhar. Inoltre l’attenzione della Santa Sede in questo contesto è rivolta a quel grande e articolato processo di migrazioni che attraversa il Mediterraneo, segnato dall’ “inequità”, dalle disuguaglianza che spingono tanti a fuggire dalle loro terre, un fenomeno che interroga in modo complessivo l’intera Chiesa cattolica che si affaccia su quest’area. Il fatto stesso che tanti muoiono in mare non può non interrogare la coscienza dei cristiani. Quanto alle Chiesa locali sono contesti molto diversi: una cosa è la Chiesa in Spagna, un’altra è quella in realtà segnate dalla guerra come in Siria o in Iraq o altra ancora nei Balcani. Ogni Chiesa credo cerchi di declinare nelle situazioni diverse queste sfide al dialogo, a costruire ed educare alla pace e trasformare le società a partire dalla solidarietà con gli ultimi».