Non vuole parlare di «sfide» il cardinale Gualtiero Bassetti. «Alla Chiesa non appartiene il lessico della guerra e, dunque, per il 2020 proporrei innanzitutto un cambio di linguaggio». Presidente della Conferenza episcopale italiana dal 24 maggio del 2017, 77 anni, l’arcivescovo di Perugia sottolinea che «la Chiesa non affronta sfide, ma partecipa, per suo stesso mandato, vocazione, missione, alla vita del Santo Popolo di Dio, cercando di dare attuazione a quel “Vangelo della gioia” di cui parla papa Francesco».
Dunque qual è la “mappa” per il nuovo anno?
«Abbiamo i nuovi Orientamenti pastorali che, per rispondere in maniera ancora più puntuale ed efficace all’evolversi dei tempi, avranno un orizzonte temporale di cinque anni anziché di dieci. Il presente e il futuro ci chiamano a un rilancio dell’azione missionaria della Chiesa, al rinnovo del nostro impegno per comprendere il tempo che stiamo vivendo e a preparare il futuro. La nostra azione deve essere incentrata sull’ascolto e sulla comunione, assumendo sempre di più il linguaggio della prossimità, dell’accompagnamento e della testimonianza. Mi piace ricordare quanto scrisse il cardinale Carlo Maria Martini, ormai quasi vent’anni fa, nella Lettera pastorale Sulla tua parola: “Nessuna nostalgia, nessun rimpianto, nessuna evasione dalle urgenze del presente: lasciamoci invece animare da un’ardente speranza, da una profonda passione per il Regno che viene e da un impegno capace di esprimere nell’oggi degli uomini la bellezza della promessa di Dio per il futuro”».
Cosa sperate per il Paese?
«In un’epoca frenetica e dalle relazioni polverizzate, che ci rendono più fragili e più soli, instabili e insicuri, rassegnati e irresoluti, il nostro Paese ha bisogno di ritrovare entusiasmo e cuore. Questo duplice atteggiamento ha un nome bello e potente: gioventù. Ho in mente i giovani che tanto mi sono cari e in cui vedo brillare quel fuoco di speranza che arde alimentato da principi saldi, fondati sul bello, sul giusto e sul vero. Non sono affatto tutti “sdraiati”, anzi. Quanti si vedono impegnati nel volontariato e nella costruzione del bene comune, con la forza della solidarietà e della condivisione! Non lasciamo soli questi ragazzi. Ricordiamo che anche noi adulti, noi anziani, possiamo fare tanto. Ritroviamo quell’atteggiamento propositivo e tenace che sappiamo mettere in campo quando possiamo dire, come don Milani, “I care, mi interessa”. Per realizzare un futuro partecipato da tutti è necessaria la collaborazione di ciascuno. È necessario assumere e fare nostro quel dialogo generazionale sollecitato più volte da papa Francesco, per cui “i vecchi sogneranno e i giovani profetizzeranno”».
Su cosa è maggiormente concentrata l’attenzione?
«Il primo grande appuntamento del 2020 è proprio quello di Bari: “Mediterraneo, frontiera di pace”. Come Conferenza episcopale italiana teniamo molto a questo evento, che vedrà la presenza dei vescovi e dei patriarchi cattolici dei Paesi che si affacciano su questo nostro grande mare che, prima di tutto, è un luogo di incontro, di comunicazione e non un con.ne. Pur se segnato da grandi conflitti storici, il Mediterraneo resta, infatti, il mare della “triplice famiglia di Abramo” o anche, come diceva Giorgio La Pira con una metafora profetica, il “grande Lago di Tiberiade”. È un mare che ha generato cultura e commerci, attraverso il quale si è trasmesso il cristianesimo. “Un universo delle nazioni illuminato da Cristo e dalla Chiesa”, per usare sempre le parole di La Pira. L’incontro di Bari vuole riunire i vescovi del Mediterraneo, farli parlare e confrontare sui grandi problemi della regione. Oggi, parlare della Siria o del Libano non significa fare riferimento solo al Medio Oriente: significa parlare anche dell’Europa e dell’Africa. Un crocevia straordinario da sempre rischiarato dalla luce di Cristo. Noi chiediamo con speranza che anche oggi questa luce illumini i nostri cuori verso un futuro di pace e di giustizia».