Negli ultimi anni, per ogni nuovo governo la riforma della giustizia costituisce uno dei punti centrali del programma. Le cronache giornalistiche di questi giorni ci hanno fatto conoscere accese polemiche anche all’interno della maggioranza che sostiene Draghi. Il cuore del problema sembra essere il tema della prescrizione dei reati e quello connesso della improcedibilità dei dibattimenti in fase di impugnazione, una volta decorsi i termini previsti. È di fronte alla riforma del regime della prescrizione che si scatenano polemiche talvolta insultanti e si diffondono timori in gran parte insussistenti o enfatizzati. È gravemente sbagliato parlare di una riforma che nasce per favorire ladri, corrotti e criminali, ed è inaccettabile affermare che solo il blocco della prescrizione garantirebbe il giusto processo. Non è affatto così, poiché proprio tale blocco, sia pure dopo la sentenza di primo grado, determinerebbe un imprevedibile allungamento dei tempi dei processi nei gradi successivi, con compromissione dei diritti di tutti i cittadini che a qualsiasi titolo, imputati e parti offese, ne siano protagonisti. Né si può dimenticare che la ragionevole durata dei processi è diritto imposto dalla nostra Costituzione (art. 111) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’ uomo (art. 6).
Non è neppure accettabile una generalizzata affermazione secondo cui i processi per mafia, terrorismo e per altri reati complessi andrebbero al macero (inclusi alcuni delicati già in corso) per impossibilità di rispettare i termini di improcedibilità previsti, peraltro oggetto di un emendamento che li ha ulteriormente allargati: i rischi certamente esistono ma, al di là delle possibili previste proroghe dei termini, i dibattimenti per questi e altri reati sono notoriamente lunghi e complessi soprattutto in primo grado e non in grado di appello. Ne è prova la circostanza che oltre i due terzi di tutte le Corti d’Appello italiane già rispettano i tempi previsti dalla riforma, e ciò a prescindere dalle numerose misure che essa pure prevede e che consentiranno maggiore rapidità a tutti gli uffici giudiziari, in presenza di capacità organizzative e di selezione delle priorità da parte di chi li dirige: assunzione a breve di magistrati e di oltre 20 mila nuovi appartenenti al personale amministrativo, creazione dell’ufficio per il processo, ampliamento delle ipotesi di riti alternativi e di cause di non punibilità per particolare tenuità del fatto, digitalizzazione del processo penale e altre ancora.
Si dice poi che la riforma determinerebbe lesioni dei diritti delle parti offese dei reati dichiarati improcedibili, ma anche questo è un errore poiché il giudice penale che la dichiara, nel caso di imputato già condannato al risarcimento dei danni, trasmetterà gli atti al giudice civile per la decisione che terrà conto delle prove acquisite nel corso del processo penale. È arrivato il momento di attendere con rispetto l’esito del dibattito parlamentare: i magistrati critici, insieme con gli avvocati, proiettino la loro attenzione sul futuro, con fiducia e coraggio, con la certezza che la ragionevole durata dei processi è garanzia di credibilità della giustizia.
Contributo di Armando Spataro, magistrato e giurista, già procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino.