Un minuto di silenzio per Victor Barrio è stato osservato nell'arena durante la festa di San Firmino a Pamplona (foto Reuters).
Ho una casa nel profondo Sud della Spagna, nel cuore dell’ Andalusia. Ballo e per passione studio e insegno da anni il flamenco. Una danza che spesso, nella sua gestualità, imita i movimenti rapidi ed eleganti del torero. Il nostro mantòn, lo scialle con le frange ricamato con cui noi “bailaoras” di flamenco danziamo, vola nell’aria e imita la muleta del torero, quella mantella rossa che sventola nell’arena da secoli.
Conosco la corrida, perché dove vivo io trasmettono “los toros”, gli eventi di tauromachia, quasi a tutte le ore del giorno. A ogni “feria” cittadina coincide, nel pomeriggio, alle “5 de la tarde”, come ci ha raccontato Hemingway, il relativo programma di corride. E la relativa diretta tv. Come per le partite del Real, dell’Atlético o del Sevilla.
Conosco ogni movimento, ogni gesto. Il passaggio dei buoi con l’”arrastre”, gli unici che riescono a “domare” i tori e a condurli fuori dalle arene come docili vitellini. E i movimenti delle lance dei “picadores”, su cavalli che sembrano addobbati a festa ma che in realtà vestono un’armatura per non essere incornati.
Conosco tutto e sento quasi che questa cultura mi appartiene. Ma mai e poi mai spenderei quasi 100 euro o anche più per sedermi in quelle arene assolate (la “taquilla”, la biglietteria prevede biglietti al sole, al sole e ombra o solo ombra e il prezzo sale), per assistere a uno spettacolo che non potrei sostenere.
Sono un’animalista non fanatica, ho un cavallo che amo e primo tra tutto avrei timore di vederne uno incornato o, come spesso succede, quasi ribaltato dalla furia del toro.
Non sopporto di sapere che quel drappo rosso che il torero svetola con bravura, cela alla fine della corrida la spada con cui il toro verrà trafitto. Un tranello, che il toro ormai domato dai “banderilleros” che lo hanno già colpito a sangue, annebbiato dalla calura e dai movimenti del torero, non potrà mai vedere né evitare. Un colpo di grazia, quasi una scossa improvvisa che lo fa cadere dalle quattro zampe, di colpo. Ma solo se il torero è esperto. Come i grandi maestri della corrida, da El Cordobes a Manolete, da Dominguin fino a José Tomas ed Enrique Ponce. Se il torero è meno capace, non riesce a trovare la giusta posizione tra le scapole dove conficcare la spada per raggiungere diritto il cuore.
La "Ley taurina", la legge della tauromachia, prevede che il torero uccida il toro entro il decimo minuto del "tercio de muleta": se così non avviene, ovvero se il torero ha vibrato il colpo a vuoto, o raggiungendo il toro in un punto non vitale, dall'alto degli spalti viene suonata una tromba per avvertire che deve affrettarsi. E la carneficina continua.
Se il torero proprio non ce la fa, il toro uscirà comunque morto dall’arena. Non può essere altrimenti. Pochissimi tori sono stati graziati nella lunga storia della corrida. La sua carne finirà al mercato comunale, in vendita nei giorni di corrida. Pezzi di animale “bravo” come dicono in Spagna, per definire un toro valoroso. In qualche modo la sua “potenza” espressa fino alla morte sul campo viene così valorizzata.
Non aggiungo altro, nel giorno in cui è morto un torero di 29 anni, Victor Barrio, ancora tutta la vita davanti. Una cornata lo ha ucciso, dopo averne ricevute almeno altre tre, proprio con la stessa inesorabilità della spada che uccide sei tori a ogni corrida (tre per ogni torero) a ogni edizione delle "ferias", le feste di paese di ancora molte regioni della Spagna.
Non posso e non riesco ad aggiungere altro allo strazio di una famiglia e forse anche di un Paese che ha assistito a questa terribile scena di morte in diretta.