Carissimo direttore, sono ormai tanti i segnali che evidenziano la crepa che si è aperta nella Chiesa italiana: si è quasi formata un’opposizione tra cattolici che si ispirano al Vangelo sine glossa e i cattolici per i quali la prima preoccupazione è la tradizione, la sbandierata “identità cattolica”. Non è una novità; Mussolini diceva: «Io sono cattolico e anticristiano!».
La religione cattolica viene vissuta da molti come una sorta di appartenenza culturale, tipica della cosiddetta «religione civile»; e così, oggi, proprio quelli che si considerano «cattolici veri», «senza se e senza ma» – quelli che nell’800 venivano definiti «intransigenti» – trovano difficoltà ad accettare l’idea che la stella polare del credente debba essere innanzitutto il Vangelo, che questo venga prima di ogni cosa, del Papa, dei cardinali, del diritto canonico, della stessa Chiesa, che intanto ha ragione d’esistere in quanto strumento del Vangelo, mezzo per aiutare il credente a incarnare il Vangelo; e trovano conseguentemente difficoltà ad accettare il Magistero del Papa. La Chiesa che trova alcune ispirazioni in papa Francesco viene quindi vissuta come novità estranea rispetto alla religione praticata e vissuta; gli esempi sono numerosi e, per carità di patria, mi astengo dall’enumerarli.
Di fronte a tali scenari non si può non nutrire preoccupazione per il futuro, anche se, personalmente, penso sia purtroppo il prezzo da pagare perché il Vangelo finalmente emerga nella sua interezza nella comunità cattolica: il Vangelo ci ricorda che siamo cristiani perché discepoli di Cristo, ben prima di esserlo per tradizione. Il fatto è che si era giunti a voler essere cattolici riconosciuti perché visibili, a costo di privilegiare il possesso, l’organizzazione, il numero, la compattezza (la cultura della presenza...). Io temo – spero di essere smentito dai fatti – che nei prossimi anni questa divisione si allargherà e chi vorrà seguire il Vangelo “nudo e crudo” potrebbe risultare addirittura perdente, specialmente quando non ci sarà più il caro papa Francesco. Sono troppo pessimista? Grazie per la sua meritoria missione e per l’attenzione prestata a questa e-mail, auguri per la nostra bella rivista e che il Signore l’accompagni per molti anni a venire.
LUCIO CROCE
Caro Lucio, io non sarei così pessimista. Lo stesso Gesù ha detto ai suoi discepoli, a ciascuno di noi: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Luca 12,32). Lo stesso papa Francesco non si è mai preoccupato di mettere a tacere il dissenso, anche nei suoi confronti. Più volte, invece, ha richiamato all’unità. Già in un’udienza generale del settembre 2013 così diceva: «Dovunque andiamo, anche nella più piccola parrocchia, nell’angolo più sperduto di questa terra, c’è l’unica Chiesa; noi siamo a casa, siamo in famiglia, siamo tra fratelli e sorelle. E questo è un grande dono di Dio!». E aggiungeva: «Chiediamoci tutti: io come cattolico, sento questa unità? Io come cattolico, vivo questa unità della Chiesa? Oppure non mi interessa, perché sono chiuso nel mio piccolo gruppo o in me stesso? Sono di quelli che “privatizzano” la Chiesa per il proprio gruppo, la propria nazione, i propri amici?».
Offriva anche qualche spunto concreto: «Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno anche la vita per la propria fede, questo tocca il mio cuore o non mi arriva? Sono aperto a quel fratello o a quella sorella della famiglia che sta dando la vita per Gesù Cristo? Preghiamo gli uni per gli altri?». Francesco si domandava poi se possiamo ferire questa unità. Purtroppo è così, lo sappiamo anche dai due millenni di storia del cristianesimo: «A volte sorgono incomprensioni, conflitti, tensioni, divisioni, che la feriscono, e allora la Chiesa non ha il volto che vorremmo, non manifesta la carità, quello che vuole Dio».
Premesso, quindi, che bisogna sempre cercare l’unità, la comunione, dono dello Spirito Santo e che nessun gruppo può pretendere di essere l’unico vero interprete del Vangelo, possiamo riflettere brevemente sull’idea di una religione civile, sull’essere cristiani solo per tradizione. Certamente non è sufficiente. Tanto più oggi, in un mondo sempre più multiculturale. È anche un dato di fatto: sempre meno persone, per esempio, frequentano la Messa domenicale o portano i propri figli ai sacramenti, dal Battesimo alla Comunione, alla Cresima.
Una volta era lo stesso contesto sociale a renderci tutti “cattolici”. Ora non è più così. Ma ora come un tempo essere cristiani è molto di più di un’appartenenza sociologica. Essere discepoli di Cristo vuol dire lasciarci guidare e trasformare da lui e vivere secondo il Vangelo, nelle scelte concrete di ogni giorno, scelte improntate all’amore, alla misericordia, al perdono. Chiunque sia il Papa, ieri come oggi, e come domani, sarà il Vangelo a giudicare il nostro essere o meno cristiani.
Saranno sempre meno i veri credenti? Io credo che la forza del Vangelo sia più forte di ogni resistenza umana. Riemergerà sempre. Soprattutto attraverso i santi che, come san Francesco, decidono di viverlo sine glossa, cioè senza alcuna aggiunta. Il Poverello di Assisi si riferiva a chi sminuiva la forza del Vangelo attraverso interpretazioni raffinate e fuorvianti. In realtà dobbiamo sempre invocare lo Spirito perché ci apra la mente alla comprensione del Vangelo. I commenti e le spiegazioni non sono inutili, ma solo se ci aiutano a incontrare Cristo e a lasciarci trasformare da lui, vivendo sempre in comunione con tutta la Chiesa.