Da sinistra: don Virginio Colmegna, don Gino Rigoldi, don Luigi Ciotti.
Chi li frequenta conosce bene la passione evangelica che li anima. Don Luigi Ciotti, ad esempio, per tutti semplicemente Gigi: nella sua vita iperblindata, a causa delle ripetute minacce mafiose (per minacciarlo a voce alta s'è scomodato il boss dei boss, Totò Riina) c'è un'oasi di pace, la sua camera da letto dove Bibbia e Breviario dimostrano di essere libri consumati dall'uso frequente e all'interno della quale stole colorate sono sentinelle inesauste che rimandano all'America del Sud, alla terra da cui arrivano, terra di favela, di diritti calpestati, di poveri emarginati. In realtà l'amore annulla le distanze. Lo prova la gioia del consiglio pastorale di San Barnaba, la storica parrocchia di Mirafiori, periferia Sud di Torino, tribolata terra di disoccupazione e sogni infranti, che tutti gli anni lo chiama a parlare ai suoi giovani e tutti gli anni si sente rispondere: «Ci sono, dai, fissiamo la data, l'agenda è satura ma ce la facciamo». Storie minime di ordinario Vangelo.
Don Luigi Ciotti insieme con don Gino Rigoldi e don Virignio Colmegna, da oggi sono anche dottori. In Comunicazione. La consegna della laurea honoris causa da parte dell'Università Statale di Milano è stata l'occasione per riflettere sul modo di essere prete loro e di altri sacerdoti. Che non vogliono aggettivi: di strada, anti-mafia, anti-droga, anti-usura e via seguendo la fantasia dei giornalisti chiamati a strizzare realtà complesse in un titolo di poche battute. Il Vangelo e la strada, dicono, sono in realtà inseparabili. Vero. Appena risorto, Gesù si svela cammin facendo con due discepoli affranti e delusi, sulla strada che portava a Emmaus. E la fede, in Europa, si fa preghiera, carità, letteratura e financo arte lungo gli ottocento chilometri che dal passo di Roncisvalle portano dritti a Santiago de Compostela, diventati famosissimi con il semplice nome di "el Camino", la strada, appunto.
La Chiesa non ha mai dimenticato questa dimensione. Anche se un po' di polvere, qua e là, s'è accumalata rendendo meno brillante - in taluni - l'essere prete. Aiuta rileggere quanto ripete spesso papa Francesco: il prete è chiamato «ad avere un cuore che
si commuove». «I preti - mi permetto la parola – ‘asettici’ quelli ‘di
laboratorio’, tutto pulito, tutto bello non aiutano la Chiesa! La
Chiesa oggi», non si stanca di dire Bergoglio, ribadendo un concetto a lui caro, «possiamo pensarla come un ‘ospedale da campo’, c’è bisogno di curare
le ferite, tante ferite». Don Ciotti, don Rigoldi, cappellano del carcere minorile di Milano, e don Colmegna, storico direttore della Caritas ambrosiana chiamato dal cardinal Martini alla guida della Casa della Carità, lo sanno bene. Preti e basta. Testimoni credibili del Vangelo che rinnova la città. Della carità che si fa cultura e promuove giustizia. In compagnia degli ultimi.