Catherine Samba Panza, presidente ad interim della Repubblica Centrafricana
Quando lo scorso 19 gennaio i ricercatori di Amnesty International sono entrati nella città di Boali, a nord della capitale, per verificarne direttamente la sicurezza si sono trovati di fronte a uno scenario spettrale: l'intero quartiere musulmano era disabitato. Un'assenza che sottolinea lo stato di terrore in cui versa la comunità musulmana in fuga dalle milizie armate, vittima di abusi, violenze e uccisioni illegali. Privi di protezione. «Anche chi è nato dentro i confini della Repubblica Centrafricana e non ha mai messo piede altrove - spiega Joanne Mariner, alta consulente per le crisi di Amnesty International - sta cercando di raggiungere il Ciad». Quello che la presidente ad interim Catherine Samba Panza deve fare è chiaro: riprendere al più presto il controllo dei gruppi armati anti-balaka che stanno dando libero sfogo alla frustrazione delle angherie a loro volta ricevute dagli ex seleka.
Ma è ormai evidente che il Centrafrica non basta a se stesso e la rottura dell'impegno assunto dall'Unione Africana rispetto all'invio di peacekeeper è un nodo che va sciolto quanto prima: «Più di un mese dopo il voto delle Nazioni Unite - prosegue Mariner - vi sono meno di 4mila peacekeeper dell'Unione Africana oltre ai 1.200 uomini francesi. Nel frattempo sono morte oltre mille persone e centinaia di migliaia di civili sono intrappolati nei campi per gli sfollati e hanno troppa paura per tornare a casa». E ancora: «Mentre il sospetto e l'odio tra le comunità si acuiscono occorre che la popolazione civile sia messa a piena conoscenza delle misure di sicurezza che si intendono prendere. Questa violenza incessante è durata troppo tempo. Ora è giunto il momento che la comunità internazionale svolga azioni concrete per riportare calma e sicurezza nel Paese».