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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Beato e santo solo con il miracolo. Perché?

24/11/2022  Perché c'è per forza bisogno di un miracolo per canonizzare una persona?

In riferimento alla necessità di un miracolo per proclamare santo don Tonino Bello (cfr. “L’angolo della speranza” sul n. 32 di Famiglia Cristiana), mi chiedo perché c’è bisogno di un miracolo per canonizzare una persona. - CHIARA

 

Non solo in riferimento a don Tonino Bello, dichiarato venerabile nel gennaio scorso e ora in attesa di essere proclamato beato e poi santo, ma anche per tanti altri eroi di vita evangelica molti si chiedono perché le norme della Chiesa richiedano almeno un miracolo per loro intercessione dopo la loro morte. Non è forse sufficiente la testimonianza data in vita? D’altra parte i martiri dei primi quattro secoli della Chiesa venivano venerati come santi per il fatto stesso di aver testimoniato la loro fede con il proprio sangue. È significativo che i martiri che erano scampati alla morte potessero intercedere per la riammissione nella comunità cristiana di coloro che per paura avevano rinnegato la loro fede. Mediazione che con l’ingresso dei popoli barbari nella Chiesa (VI-X sec.) prende il sopravvento e il santo viene considerato sempre più come protettore e intercessore anziché come modello di vita. Di conseguenza la santità tendeva a essere commisurata al numero dei miracoli compiuti sia in vita che dopo la morte. Durante il primo millennio erano i vescovi locali che proclamavano la santità dopo aver verificato anche la lista dei miracoli che accompagnava abitualmente ogni richiesta. Soltanto nel 1234 Gregorio IX riserva al Papa la proclamazione dei santi per una più severa verifica delle condizioni richieste e anche degli stessi miracoli. Ai vescovi locali è lasciata la proclamazione dei beati, a cui è concesso un culto locale e non per tutta la Chiesa.

Dopo questo breve, ma utile sguardo storico, resta la risposta alla domanda di partenza. È proprio corretto ancora oggi considerare il beato e il santo soprattutto, come operatore di prodigi? Ciò non è forse in contraddizione con il rimprovero di Gesù a coloro che gli chiedevano segni dal cielo come prova della sua identità divina (cfr. Mc 8, 11- 12)? Il grande “miracolo” non è forse il santo stesso che come Gesù rende visibile e fa “toccare” con mano l’Invisibile con la propria carne? È paradossale, ma l’esigenza giuridica di almeno un miracolo per la beatificazione e di un secondo miracolo per la canonizzazione (cioè l’inserimento nell’elenco dei santi per tutta la Chiesa) non è tanto una necessità dei fedeli quanto piuttosto dell’autorità ecclesiastica. Non certo per mancanza di fede né a causa di dubbi sulla testimonianza della vita, ma perché nel miracolo (evento inspiegabile, ottenuto per fede e per intercessione del beato o del santo) si cerca una conferma divina sulla decisione degli uomini nel proporre al culto dei fedeli un autentico esempio di vita evangelica e di un sicuro intercessore presso il Signore. Non sono i miracoli che fanno i santi, ma sono i santi che fanno i miracoli, senza mai togliere lo spazio del dubbio e la libertà della fede. Questa, infatti, non è frutto del miracolo, ma la causa. L’esigenza del miracolo è del resto una legge ecclesiastica a cui il Papa può derogare, come è già avvenuto per la canonizzazione di Giovanni XXIII per il quale non si attese il secondo miracolo.

 
 
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