Beatrice Rana, ha solo 22 anni, è nata a Cupertino (in provincia di Lecce) ed è un rivelazione del pianoforte: un nuovo talento nato nostro Paese. In questi giorni esce un Cd per la Warner nel quale è diretta da Antonio Pappano, uno dei massimi musicisti viventi, con l’orchestra di Santa Cecilia. Il programma si compone del famoso Concerto n. 1 di Cajkovsky e del secondo di Prokofiev.
La sua forte personalità, la sua lucidità non risaltano solo alla tastiera, ma anche nel suo modo di raccontarsi, nelle sue risposte. Beatrice è un artista, ma parla spesso di “lavoro” e di “gesto”. Come mai? “Sono fermamente convinta che il fare musica si divida nel lavoro intellettuale e di ricerca ed in quello manuale, che è il lavoro fisico che svolge lo strumentista nel momento in cui suona, o studia, o registra. Questo stesso atteggiamento l’ho riscontrato nel maestro Pappano e qualcuno l’ha definita una componente del sud, meridionale. Secondo me dipende molto nel mio caso dal fatto che i miei genitori sono pianisti, ma i miei nonni sono agricoltori, e producono anche il vino. Quindi vedo in loro questa componente manuale, che non è solo un modo di lavorare, ma anche di vivere. Ed è una componente anche morale: perché rappresenta l’onestà del lavorare. E’ certamente un punto di partenza del mio rapporto col pianoforte: il contatto fisico con la tastiera è estremamente importante. Ricercare sonorità attraverso questo contatto fisico è una delle componenti maggiori del mio studio al pianoforte. Ogni gesto naturalmente è finalizzato ad un risultato artistico che trascende il gesto: non si fa un gesto per il gesto in sé”.
E’ un processo lungo quello che la porta dallo studio all’esecuzione?
“Sì, e non avviene solo al pianoforte. E’ come in teatro: la genesi di una idea di rappresentazione non nasce sul palco, ma prima. Con la musica prima di tutto si leggono le note di un nuovo spartito. Quando si è letto tutto quello che il compositore ha indicato inizia a germinare una nuova idea di interpretazione. Questo non significa stravolgere il testo musicale: ma adattarlo alla propria sensibilità. E realizzare la propria idea col lavoro sullo strumento”.
Come si genera la sua idea? Dal confronto con le interpretazioni di altri o no?
“No, nel mio caso non avviene mai. Anche perché in un Concerto famoso come quello di Cajkovsky le tradizioni hanno a volte allontanato le esecuzioni da quanto c’è scritto sul testo. Noi siamo esecutori, non compositori”.
E il pubblico?
“A sua volta ha una propria sensibilità sulla base della quale percepirà la nostra interpretazione. Tutto questo rende l’interpretazione un processo molto affascinante”.
E con le musiche del cd come è andata, visto che la sua visione si complica per via della presenza di una ulteriore sensibilità, quella del direttore d’orchestra?
“E’ andata benissimo, perché entrambi avevamo una convergenza di idee sulle partiture. E’ stata una settimana intensa di lavoro, ma anche di risultati. Non è sempre così”.
Lei ci diceva che comunque papà e mamma sono musicisti…. è una predestinata quindi...
“I miei genitori sono pianisti, ma ho anche una zia violinista, un nonno appassionato di lirica. Diciamo che tutto per me è stato naturale. Oltretutto io vedevo mio padre suonare il pianoforte, mia madre insegnare ai bambini…. Solo crescendo mi sono resa conto che la presenza della musica non è così scontata nella vita delle persone. Anzi, è una presenza speciale. I miei genitori mi hanno seguita fisicamente fino ai 18 anni, viaggiando sempre con me. Ora non mi seguono, ma sono presentissimi moralmente. La vita di un concertista ha bisogno di un sostegno, perché molto spesso porta lontano dagli affetti familiari. Io sento la loro presenza. Del resto non mi hanno mai forzato in nulla: l’unica cosa che desideravano è che avessi un diploma di pianoforte. Ma non mi hanno mai caricato di aspettative o messo sotto pressione. Hanno agito anche con severità, ma con molta sensibilità”.
Il programma del Cd come è nato?
“Cajkovsky è una richiesta del maestro Pappano. Sono due pilastri della letteratura per pianoforte e orchestra. Scritti nello stesso periodo ma di ispirazione totalmente diversa. Di grande portata drammatica. Non per nulla in Prokofiev viene usata per la prima volta la parola colossale. Anche orchestra e direttore sono molto impegnati. E si vede subito in queste pagine se un direttore è bravo ….”.
E sulla bravura di Antonio Pappano nessuno nutre dubbi.