L’operazione di pulizia avviata da papa Francesco fa un’altra vittima, questa volta eminente: si è dimesso il cardinale Giovanni Angelo Becciu e – fatto rarissimo che dimostra l’estrema gravità del caso – gli sono stati tolti anche i «diritti connessi al Cardinalato».
La notizia-bomba è stata data dalla sala stampa vaticana con un laconico comunicato diramato, in modo irrituale, alle otto di sera: «Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu». La Santa Sede non dice altro, ma all’origine dello strappo vi sarebbe un problema di distrazione dei fondi pubblici.
Il nome di Becciu – non indagato – era emerso attorno alla compravendita a titolo di investimento di un esoso immobile di Sloane Avenue 60, a Londra, all’origine di una indagine vaticana iniziata l’anno scorso e tuttora in corso. Il suo acquisto immobile, con i fondi dell’Obolo di San Pietro, è stato deciso dalla Segreteria di Stato all’epoca in cui Becciu era Sostituto, ossia numero tre della catena di comando vaticana, mentre il suo successore, Edgar Pena Parra, ha tentato di finalizzare l’acquisto coinvolgendo lo Ior. Un affare «opaco» (copyright del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin) che ha fatto emergere casi di «corruzione» (parola del Papa sul volo di ritorno da Giappone e Thailandia). Becciu si è sempre dichiarato estraneo ad ogni malefatta. L’ex segretario particolare del porporato, monsignor Mauro Carlino, tra gli officiali vaticani sospesi per questa vicenda, è poi fuoriuscito dal ruolo diplomatico ed è infine rientrato in diocesi.
L’inchiesta del tribunale vaticano, guidato dalla fine dell’anno scorso da Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, e portata avanti dal procuratore capo Gian Piero Milano e dal sostituto Alessandro Diddi, si sarebbe nel frattempo allargata, accertando, a quanto si apprende, giri di fondi finiti ai famigliari del cardinale Becciu. «Ho dato i soldi a mio fratello solo perché ho comprato dalla sua società infissi per le nunziature in Egitto e Cuba, non vedo reati», ha dichiarato il cardinale al nuovo quotidiano Domani diretto da Stefano Feltri. «Sono sconvolto, turbato», ha detto al Messaggero, «Un colpo per me, la mia famiglia, la gente del mio paese. Per spirito di obbedienza e per amore che porto alla Chiesa e al Papa ho accettato la sua richiesta di farmi da parte. Ma sono innocente e lo dimostrerò. Chiedo al Santo Padre di avere diritto di difendermi».
L’unica certezza è che il Papa è già arrivato a una conclusione. Con una decisione che ha pochi precedenti nella storia. Prima di Becciu, solo Theodore McCarrick (2019), per comprovati abusi sessuali su minori, Keith Michael Patrick O’Brien (2015), anch'egli per comprovati abusi sessuali, e Louis Billot (1927), per un insanabile conflitto teologico-politico con Pio XI, nella storia moderna, sono stati colpiti nell’appartenenza al "club" più esclusivo di Santa Romana Chiesa, quello del collegio cardinalizio, legato al Santo Padre e alla Chiesa da un rapporto esclusivo di fedeltà "usque ad sanguinem" (da qui il colore della porpora cardinalizia). Più precisamente, mentre McCarrick e Billot sono stati espulsi dal collegio cardinalizio, Becciu, e prima di lui O’Brien, hanno rinunciato ai «diritti connessi al Cardinalato», quelli previsti dai canoni 349, 353 e 356 del Codice di Diritto Canonico (Conclave, Concistoro, ecc).
Una sfumatura meno ultimativa, che non toglie peso al provvedimento papale. Anche perché mentre i tre precedenti dell’ultimo secolo avevano ruoli per così dire marginali – arcivescovo ormai emerito di Washington McCarrick, arcivescovo ormai emerito di Edimburgo O’Brien, semplice teologo Billot – questa è la prima volta che la suprema sanzione colpisce un cardinale che ricopriva, fino alla improvvisa rinuncia, il ruolo di capo dicastero vaticano ed ha rivestito, fino a pochi anni fa, il delicatissimo ruolo di Sostituto della Segreteria di Stato, l’unico "officiale" che si può permettere di presentarsi all’appartamento del Pontefice senza essere preannunciato.
Sardo di Pattada, nel Sassarese, 72 anni, focolarino, Becciu è stato ordinato sacerdote nel 1972. Entrato giovane nel servizio diplomatico della Santa Sede, ha scalato i gradini del cursus honorum delle feluche del Papa. Nominato vescovo da Giovanni Paolo II, e consacrato dal cardinale Angelo Sodano nel 2001, Becciu è stato nunzio apostolico a Sao Tomé e Principe e poi, dal 2009 al 2011, a Cuba. Quell’anno Benedetto XVI, e il suo Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, lo chiamano a Roma come Sostituto, un ruolo che conserva fino al 2018, quando Francesco lo promuove prefetto della congregazione dei Santi. Da braccio destro del Segretario di Stato assiste, in ruolo di protagonista, alla conclusione del pontificato di Bendetto XVI (dispone la nascita di una commissione di indagine sui documenti vaticani rubati e passati alla stampa, il cosiddetto scandalo Vatileaks), all’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ai primi anni del suo Pontificato (il secondo scandalo Vatileaks lo vede di nuovo protagonista nella risposta della Santa Sede). Papa Francesco si fida di lui: gli affida il delicatissimo dossier della riforma dell’ordine di Malta, ogni giovedì santo si reca a pranzo a casa di Becciu, in Vaticano, dove conosce alcuni «semplici» sacerdoti romani invitati dal Sostituto.
Il cardinale intrattiene cruciali rapporti con la politica italiana, gira il mondo per le beatificazioni e le canonizzazioni. Rimane influente, i giornali lo descrivono come «il cardinale italiano». Nel 2018 era stato lo stesso Francesco che lo crea cardinale: ora gli ha tolto i diritti che alla berretta porpora sono legati. C’è chi non cela soddisfazione. «Il Santo Padre è stato eletto per pulire le finanze vaticane. La partita è lunga e bisogna ringraziarlo e fargli le congratulazioni per gli ultimi sviluppi», commenta dall’Australia il cardinale George Pell. A inizio pontificato fu nominato da Jorge Mario Bergoglio prefetto della Segreteria vaticana per l'Economia (2014-2019), ma nel 2017, con il beneplacito del Papa, tornò in patria per difendersi in tribunale dalle accuse. Condannato in primo grado, incarcerato per 400 giorni, è stato scagionato dall'Alta corte australiana alla fine dell'anno scorso per la sua comprovata innocenza. Durante il suo periodo in Vaticano i suoi programmi di riforma delle finanze vaticane e i suoi modi bruschi gli procurarono non pochi attriti con altri uffici di Curia, e in particolare con la Segreteria di Stato.
Adesso al posto del cardinale Pell siede il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero. E’ stato lui a promuovere il nuovo codice degli appalti vaticano, approvato la scorsa primavera del Papa. Un testo di legge che combatte «le frodi, il clientelismo e la corruzione e per prevenire, individuare e risolvere in modo efficace i conflitti di interesse insorti nello svolgimento delle procedure in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la trasparenza e la parità di trattamento». Tra i motivi di incompatibilità all’iscrizione nell’Elenco dei dipendenti e degli incaricati professionali temporanei, per dire, c’è il fatto di essere «parente fino al quarto grado o affine fino al secondo grado di un soggetto riferibile ad un operatore economico che abbia presentato offerta». Una linea di rigore che previene il rischio di una certa vischiosità negli affari attorno al Vaticano, e cha ha già portato il Papa, nei mesi scorsi, a commissariare la Fabbrica di San Pietro per presunti appalti irregolari nel restauro del Cupolone. Una intransigenza che rispecchia l’intenzione del papa argentino di passare al setaccio gli uffici vaticani per estirpare una volta per tutte il malaffare. Nella convinzione, come ha scandito più di una volta, che «il popolo di Dio perdona a un sacerdote una caduta affettiva o se beve troppo, ma non se cede al potere e alla ricchezza».