Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
domenica 18 maggio 2025
 
 

In Italia? A proteggerci pensa la famiglia

25/06/2013  Certamente uno degli antidoti alla rivolta nel nostro Pasese è la coesione sociale generata da famiglie, reti di parentela, di vicinato, di auto mutuo aiuto, di volontariato, di imprese sociali. Perché la protesta, soprattutto se violenta, è sempre una scorciatoia verso soluzioni peggiori.

In questi lunghi anni di crisi nessun contesto mondiale è stato risparmiato da proteste di piazza, esasperate da una drammaticità crescente e spesso da preoccupanti manifestazioni di violenza. Vere e proprie rivolte, spesso con morti e feriti, sia tra i manifestanti che tra le forze dell’ordine. Con modalità diverse le proteste sono nate in Paesi molto poveri, ma anche nei Paesi del G8, nella ricca Europa e nell’Africa più povera, e anche tra i BRICS, i Paesi emergenti, le rivolte brasiliane di questi giorni, che mischiano calcio e povertà, la protesta è diffusa, agitata e spesso violenta (come purtroppo anche la repressione, in molti contesti). La domanda allora non è: “perché scendono in piazza?”, ma sarebbe: “Perché NON scendono in piazza?” In particolare la domanda si pone nel nostro Paese, tuttora duramente e lungamente provato da politiche restrittive, da un’economia recessiva, e dalla marginalità e precarietà di crescente fasce di popolazione, in primis i giovani.

Certamente uno degli antidoti alla rivolta violenta è in una riserva di capitale sociale, presente in Italia, costituito dalla forte coesione sociale della società civile, e in primis della famiglia. Le nostre piazze non sono piene di una rivolta violenta, rabbiosa e disperata non perché non ce ne siano buoni motivi, ma perché nel vivo della quotidianità, all’interno delle case, nel tessuto relazionale del volontariato e delle comunità locali, esiste un patrimonio di solidarietà che protegge le persone dalla violenza dell’impatto della crisi, e insieme impedisce lo sbocco violento e rabbioso. Dobbiamo apprezzare questa capacità di coesione sociale, generata da famiglie, reti di parentela, di vicinato, di auto mutuo aiuto, di azione volontaria, di imprese sociali, perché la violenza è sempre una scorciatoia verso soluzioni peggiori, che spesso non proteggono gli ultimi, ma si limitano a cambiare la classe dei privilegiati.

Ma fino a quando le famiglie e le reti sociali sapranno e potranno resistere, senza un reale cambiamento delle politiche di contrasto alla crisi e delle regole della globalizzazione? Ci pensino seriamente, le classi dirigenti del Paese e degli organismi internazionali, per costruire un nuovo modello di sviluppo, di welfare, di economia.

Da ultimo, conviene forse ricordare che custodire la coesione sociale non significa tacere e obbedire per principio ai potenti. La protezione dalle derive di protesta più violente e irrazionali non deve essere considerata un alibi per i cittadini, per non far sentire la propria voce a tutti i potenti del mondo. Forse bisognerà inventare nuove modalità per occupare le piazze di tutto il mondo, ma da famiglie, per difendere gli ultimi, senza violenza, ma dando voce a chi non ha voce.

Multimedia
Brasile, scontri e proteste
Correlati
WhatsApp logo
Segui il nostro canale WhatsApp
Notizie di valore, nessuno spam.
ISCRIVITI
Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo