Ben Harper, appena passato dall'Italia per alcuni concerti, ha fatto una scelta radicale: il suo ultimo album Childhood Home, appena pubblicato, è stato realizzato niente meno che con la mamma. «Non ho mai dimenticato le mie origini, sarebbe come abbandonare in alto mare i miei antenati», dice il sapiente Ben Harper, un musicista che in poco più di venti anni di musica è diventato uno degli autori e interpreti più conosciuti della musica attuale. «A quarantacinque anni, è affascinante poter interpretare e suonare la mia vita e i miei amori», continua. «La musica ci abitua a storie di ragazzi, spesso adolescenti. Per me affrontare l’età che avanza ha un senso».
Come mai ha deciso di lavorare con sua mamma?
«L’ho sempre desiderato, fin da quando la vidi, al Folk Music Center (il negozio di strumenti musicali dei nonni ndr) che duettava con personaggi come Ry Cooder e il bluesman Taj Mahal. Beh, se chiudi un secondo gli occhi e pensi al fatto che stai collaborando con tua madre, ti chiedi per forza se sarà una cosa semplice. Ma quando pensi al fatto che lei è molto professionale, sa quello che fa, conosce il mestiere, allora tutte le incertezze svaniscono».
Signora Ellen, cosa ha provato?
«È stata un'esperienza molto interessante. Quando Ben era giovane l'avevo già visto lavorare, ma in questo caso il coinvolgimento nella produzione mi ha fatto scoprire nuovi aspetti di lui che non conoscevo».
Il vostro rapporto è cambiato?
B.H.: «Suonare insieme ci ha permesso di abbattere dei muri, alcuni pregiudizi, le barriere tra madre e figlio. Abbiamo trovato una nuova consapevolezza e il desiderio di condividere i sentimenti e la nostra professionalità. È un'esperienza che raccomando a tutti: se i vostri genitori sono ancora in vita, prima che diventino troppo vecchi, fate qualcosa di unico con loro».
E.H.: «È migliorato, perché non si è trattato di una vera e propria apertura dei nostri sentimenti privati, ma piuttosto un bisogno di condividere qualcosa come madre e come figlio, di continuare un discorso che avevamo solo accennato già ai tempi di Pleasure & Pain, il primo album di Ben. Sentivamo di condividere qualcosa e di voler esprimere quel qualcosa, è stato un bisogno, ma non nei confronti degli altri, nei confronti di noi stessi».
Signora Ellen, c'è una ninnananna che cantava spesso a Ben quando era piccolo?
«Oh si, c'erano diverse canzoni che gli cantavo quando era un bambino, canzoni soprattutto folk e country con le quali Ben si addormentava».
B.H.: «Le mie preferite erano le canzoni di Dylan».
Da bambino aveva notato il talento di suo figlio?
E.H.: «Quando era piccolo suonava in ogni istante in giro per casa, dovunque si trovasse, e lì avevo già chiaro che nella sua vita la musica avrebbe avuto un ruolo molto importante. Quando era piccolo credo che il suo più grande talento fosse riuscire a immagazzinare tutto quello che ascoltava attorno a lui e questo forse lo ha portato a diventare quello che è oggi».
Ben, dopo l’esperienza con Jovanotti ha continuato a frequentare la musica italiana?
B.H.: «Poco, però Jovanotti mi fece scoprire Luigi Tenco, per il quale ho provato da subito un’attrazione speciale per un motivo molto semplice: anche se non parlo la vostra lingua, riesco a capire quello che dice, la sua voce è così espressiva che con il semplice cambio di tono riesce a far intendere il proprio stato d’animo. La musica di Tenco mi ha insegnato a rimanere in contatto con le mie sensazioni».
Rimpianti?
B.H.: «Sono abituato a guardare avanti, però se non avessi inciso un disco con mia madre uno lo avrei certamente. Ne parlavamo da quindici anni».