Ci sono cinque “passioni” fondamentali nella vita di don Lino Tiriolo: la prima è Gesù, come ci dice lui stesso con un gran sorriso, poi la famiglia, la sua comunità parrocchiale, a seguire i santi Agazio e Vitaliano, protettori della sua diocesi, di cui non manca d’invocare l’intercessione a ogni celebrazione liturgica, e infine il Catanzaro Calcio, di cui è cappellano dal 2001. Un impegno, questo con la squadra calabrese, che ha appena conquistato, battendo, lo scorso 18 marzo, per 2-0 (reti del capocannoniere del girone C Iemmello e di Brignola) la Gelbison con cinque giornate di anticipo, dopo una stagione dominata con numeri da record, la promezione in Serie B dopo 17 anni di assenza, vissuto da don Lino, parroco di Santa Teresa dell’Osservanza e cancelliere della curia catanzarese, con serietà e slancio emotivo a un tempo. Lo incontriamo proprio per commentare il trionfo delle “sue” Aquile, festeggiato sul neutro di Salerno, dove si è giocata la partita contro la Gelbison e non ad Agropoli per permettere la grande affluenza dei tifosi del Catanzaro, arrivati in ben 10 mila, galvanizzati da un campionato da assoluti protagonisti, con 86 punti in 33 partite, un’unica sconfitta e un vantaggio sulla seconda -il Crotone, altra calabrese- di 16 punti. Questa squadra, ribattezzata “il piccolo Napoli” incarna in qualche modo la grande voglia di riscatto di tutta una città, tappezzata da bandiere e striscioni giallorossi, che già prepara la mobilitazione festosa per domenica 26, dopo la partita col Pescara che don Lino non perderebbe per nulla al mondo.
Com’è nato il suo slancio per le Aquile?
«Fin da quando ero piccolo e andavo allo stadio. Il mio papà era tifosissimo dell’Inter e all’inizio anche io avevo abbracciato questo trasporto, ma poi l’amore per il Catanzaro è stato più forte di tutto. Ho ancora impresse nella memoria delle imprese dei giallorossi che risalgono alla mia infanzia e adolescenza. Come la promozione in serie A nel 1970-71: è stata la prima squadra della Calabria a raggiungere la massima serie e, come recita un vecchio inno calcistico, “la Calabria resterà sempre giallorossa”».
Altri ricordi del Catanzaro “epico” di una volta?
«Gli indimenticabili gol di Massimo Palanca negli anni Ottanta, direttamente da calcio d’angolo, poi tutte le emozioni vissute nel veder giocare le squadri più forti come Juve, Inter e Milan nel nostro stadio, il Nicola Ceravolo, che allora si chiamava Militare».
Che cosa rappresenta per la città la squadra di calcio?
«C’è un rapporto molto passionale tra i catanzaresi e la squadra, che genera un entusiasmo enorme quando le cose vanno bene, ma che non si spegne neppure quando i risultati sono deludenti. Non si spiegherebbe altrimenti un afflusso fino a 15-16 mila persone in partite di serie C, proseguito negli anni. È come se ogni catanzarese si riconoscesse nella squadra»
Ci descrive il suo rapporto con i calciatori e con la società?
«Un rapporto molto cordiale e amichevole. Ma anche di rispetto. Ci sono momenti in cui è evidente che vogliono stare soli per concentrarsi su un determinato obbiettivo sportivo e io lo comprendo al volo. Ma non smetto di dare sostegno, magari con qualche sms o delle telefonate».
Il goleador Pietro Iemmello (capocannoniere a 23 reti, altro record, seguito dal compagno di reparto Tommaso Biasci a 16) e i suoi compagni sono ragazzi di fede?
«Sono tutti bravi ragazzi, con valori forti e, nella maggior parte, credenti. Ovviamente considerando la giovane età e il tipo di vita che li porta spesso ai ritiri e alle trasferte nei fine settimana, è un po’ difficile per loro essere praticanti nel senso stretto del termine».
Il calcio può veicolare valori positivi ma anche dare la stura a episodi di violenza o razzismo sugli spalti. Quanto è importante da questo punto di vista la presenza dei cappellani?
«L’assistenza spirituale alla squadra e alla società è un’ottima cosa, perché alla fine i calciatori e i dirigenti possono con il loro comportamento fare di tutto per evitare che gli animi si surriscaldino. Ma il problema è complesso e per certi aspetti incontrollabile: sono convinto che vi va allo stadio per vera e sana passione calcistica non arriva mai a certi eccessi. Purtroppo c’è gente che va sugli spalti per sfogare collera e frustrazioni, alcuni letteralmente si trasformano. Quindi delle soluzioni vanno trovate a livello sistemico, con misure legislative e di ordine pubblico adeguate».
Ha mai pregato per il Catanzaro?
«Prego per la serenità nella squadra, per la salute dei calciatori».
Un’ultima domanda: qual è il segreto di questa stagione da record del Catanzaro?
«Questo trionfo non è certo frutto del caso. Dietro c’è una società fortissima, sana, molto seria e preparata a livello imprenditoriale, dei giocatori di categoria superiore, un allenatore altrettanto serio e preparato come Vincenzo Vivarini, che ha tecniche efficaci e innovative, in grado di conciliare la necessità di perseguire i risultati con il bel gioco: non ricordo di aver mai visto una squadra di così alto livello capace di coinvolgere e divertire sempre e comunque il pubblico».