Roberto Benigni (Reuters).
C'è una parte d'Italia, una parte vasta ma solitamente quieta e silenziosa, che stamattina esulta. Un sacco di sacerdoti, credenti qualunque, gente che tiene la Bibbia e il Vangelo a portata di mano e non sullo scaffale, giovani, uomini e donne che frequentano le parrocchie. Gente che ha visto proclamato in Tv, il mezzo di comunicazione che ha fatto e continua in qualche modo a fare l'Italia, ciò che sapeva da sempre: nella fede, e nel caso particolare nei Dieci Comandamenti, c'è un capitale immenso di arte e di fede e i fondamenti del nostro viver civile. Più che dieci regole, dieci ragioni per vivere.
A quest'Italia ha dato voce Roberto Benigni, un'artista che solo per pigrizia chiamiamo "comico". La pigrizia di quelli che ancora pensano che siano noia e pesantezza a caratterizzare le grandi opere. Di fronte alla sua impresa biblica, vengono piuttosto spontanee due considerazioni.
La prima: ci voleva uno scavezzacollo "di sinistra" (per quanto la definizione oggi abbia scarso senso: anche Alfano è "di sinistra" rispetto a Salvini, anche Renzi si definisce "di sinistra" ...) per strillare in un microfono quanto tanta Italia sa per storia e per istinto? E perché Benigni lo può dire ad alta voce in Tv, mentre è così difficile dirlo in piazza, al lavoro, in politica? Non c'è schizofrenia nell'altra Italia, quella che calorosamente applaude Benigni e poi sbeffeggia o aggredisce chi vuol basare la vita privata e pubblica sui valori che delle serate di Benigni sono l'oggetto e il cuore?
La seconda: spediamo un bel "chissenefrega" a tutti coloro che criticano Benigni per i compensi record che riesce a ottenere dalla Rai. Considerazione che esce dalla ragione e dall'umore. La ragione dice questo: sono tantissimi soldi, lo sappiamo. Forse nessuno, nemmeno un grande performer, dovrebbe guadagnare tanto. Ma finché il mercato è questo, e finché i programmi di Benigni portano un utile a un ente pubblico come la Rai, possiamo serenamente adattarci.
L'umore, invece, distilla questo: possibile che in un Paese dove si accettano senza sospiri gli ingaggi miliardari di superflui cantantelli e transeunti calciatori (compresi quelli che magari poi fanno il saluto romano in campo), si debbano criticare proprio i guadagni di un artista che fa cantare in Tv i Dieci Comandamenti?