Beppe Fiorello in Tv? Fa solo personaggi positivi in fiction “buoniste”: da Salvo D’Acquisto al judoka Pino Maddaloni, da Giuseppe Moscati a Domenico Modugno, quante volte l’attore si è sentito affibbiare questo marchio. Ma lui ne va fiero: «In un mondo come quello dove viviamo, cosa dovrei raccontare? Io voglio essere un antagonista della negatività che ci circonda». E così rilancia: il 20 e il 21 gennaio sarà protagonista su Rai 1 di L’angelo di Sarajevo, miniserie ispirata alla vicenda del giornalista Franco Di Mare, attuale conduttore di Uno Mattina, che durante la guerra nella ex Jugoslavia, che raccontava in Tv da inviato, decise di adottare una bambina rimasta orfana, Stella, che oggi ha 22 anni: «La incontrerò presto», dice Beppe, «e spero che la fiction le piaccia come è piaciuta a suo papà».Avete girato a Sarajevo.
Cosa ti ha colpito di più?
«La potente dignità della sua gente che porta negli occhi un dolore eterno, ma che è stata capace di ricominciare senza rinunciare alla sua identità. Sarajevo è stata e continua a essere la culla dell’integrazione in Europa, dove da sempre cristiani, ebrei e musulmani vivono insieme in pace».
Nella fiction quanto hai detto è simboleggiato dalla scena in cui l’arcivescovo di Sarajevo e l’imam si stringono la mano. Vedendola, non si può non pensare alla strage di Parigi...
«È vero, anche se a me sembra che sia tutto un grande bluff, che le religioni non c’entrino nulla. È il cuore umano che mi sembra sia impazzito, dominato da un istinto di autodistruzione che porta a non vedere più nell’altro un essere che appartiene alla tua stessa specie».
Chi è la bambina che interpreta la figlia di Franco Di Mare?
«Si chiama Iva, è nata a Belgrado, e quando avevamo girato aveva solo 10 mesi. Ho avuto con lei un rapporto bellissimo perché siamo stati insieme 8 ore al giorno, per 8 settimane. Ci guardava sempre con i suoi occhietti sbarrati e, non potendo ovviamente chiederle di recitare quanto era scritto nel copione, ci siamo adattati a lei, aspettandola per catturare le sue emozioni reali: le sue reazioni, i suoi sorrisi, i suoi pianti sono tutti veri. È una bimba fortunata perché ha una famiglia meravigliosa».
Hai avuto modo di parlare con i suoi genitori della guerra?
«Loro all’epoca erano molto giovani e la guerra per fortuna li ha solo sfiorati. Ne abbiamo parlato poco, ma tutti lì parlano poco di quanto è accaduto. Per documentarci prima delle riprese, alcuni giornalisti della Tv di Sarajevo ci hanno fatto vedere delle immagini mai andate in onda: sono rimasto scioccato. Per questo capisco che ci sia molto pudore nella gente nel ricordare avvenimenti così terribili. Come facciamo vedere, quel conflitto fu ancora più assurdo e atroce perché fu una guerra fratricida, che mise contro non solo vicini di casa che avevano sempre vissuto in pace, ma anche cugini, mariti e mogli».
La fiction offre anche una riflessione sulla paternità, raccontando la storia di un uomo che prima di partire per Sarajevo mai avrebbe pensato di poter diventare padre...
«Premesso che ci siamo solo liberamente ispirati al romanzo che Franco ha scritto per raccontare la sua esperienza, Non chiedere perché, il mio personaggio all’inizio è stato appena lasciato dalla sua donna e si sente un uomo finito. Parte per Sarajevo e si ritrova dentro una guerra di fantasmi, di cecchini che in qualsiasi momento possono colpirti, e lui quasi spera di finire lì la sua vita. E invece l’incontro con quella bambina è l’inizio di una nuova vita, con la scoperta di un senso di paternità nascosto nella sua anima, ma che si rivela fin da subito più potente di qualsiasi cosa».
E da padre come hai vissuto quest’esperienza?
«Ho due figli, Nicola e Anita, di 10 e 11 anni, e quando erano piccoli ho sempre fatto tutto con loro, dalla pappa al bagnetto, al cambio del pannolino. Così, quando abbiamo iniziato a girare le prime scene con Iva, il regista Enzo Monteleone mi ha detto: “Non va bene, sei troppo bravo con lei. Devi fingere di essere goffo, altrimenti il tuo personaggio crolla”. Nella seconda puntata c’è una scena in cui devo inventarmi un pannolino per lei avendo solo a disposizione la federa di un cuscino e un asciugamani... È stato molto emozionante per me tornare a tenere in braccio una bambina dopo più di dieci anni».
Ai tuoi figli farai vedere L’angelo di Sarajevo?
«Se lo vorranno, certo. Li porto spesso sui set e dietro le quinte dei teatri. Mi piace che osservino il mio lavoro, perché non è facile da spiegare. Non mi vedono uscire la mattina e tornare la sera come gli altri padri. A volte mi vedono seduto assorto sul divano a pensare a qualche nuovo progetto o a ripetere a mente il copione di uno spettacolo e quando erano piccoli non capivano che anche quei momenti facevano parte del mio lavoro».
Ma al di là del fatto che ci sei tu, perché speri che vedano questa fiction?
«Per renderli partecipi di un fatto storico così importante e che invece molti di noi hanno dimenticato. In Europa appena vent’anni fa c’è stata una guerra terribile, eppure oggi sembra che non sia cambiato nulla, anzi. I telegiornali sono inondati di immagini di uomini che uccidono altri uomini, in Siria, in Ucraina, a Parigi. Io credo che l’unica soluzione non stia nei grandi proclami, ma nei gesti concreti che ciascuno di noi può compiere. Come ha fatto Franco Di Mare, rivoluzionando la sua vita con la scelta di adottare una bambina. Solo così potremo dare nuova luce all’umanità».