Delia Gallagher:
Grazie. Santo Padre, la prossima domanda viene dalla Colombia, da una giovane donna che si chiama Jennifer Tatiana Valencia Morales, e lei lavora per “Unbound” e quindi viaggia nei villaggi della montagna della Colombia per aiutare anziani e giovani, e si sposta con la motocicletta.
Jennifer Tatiana Valencia Morales — Colombia, 20 anni
[in spagnolo] Papa Francesco, raccogliendo le storie di questo libro io sono rimasta profondamente colpita dalla vita degli anziani. Lei di storie ne avrà già ascoltate tante nella Sua vita. Che cosa L’ha spinta ad accettare questo progetto e ad ascoltare le storie di vita delle persone anziane presenti in questo libro? In questo libro molte storie sono di anziani che vivono situazioni di grande povertà, gente non rilevante agli occhi del mondo, della società. Nessuno starebbe ad ascoltarle. Dopo aver ascoltato storie di vita Lei si sente toccato, cambiato? Le piace ascoltare le storie di vita? La aiuta nel suo mestiere di Papa?
Papa Francesco:
L’ultima domanda: “Le piace ascoltare le storie di vita, L’aiuta nel Suo mestiere di Papa?” Sì, e mi piace anche. Mi piace. Quando sono nelle udienze, il mercoledì, incomincio a salutare la gente, mi fermo dove ci sono i bambini e gli anziani. E ho tante esperienze, tante esperienze nell’ascoltare gli anziani. Ve ne dirò una soltanto, che riguarda la famiglia. Una volta c’era una coppia che faceva il 60° di matrimonio, ma erano giovani, perché a quei tempi si sposavano giovani. Oggi per sposare un figlio, la mamma deve smettere di stirare le camicie, perché altrimenti non se ne va di casa! Ma a quei tempi si sposavano giovani. Io ho fatto loro la domanda: “Valeva la pena di fare questa strada?”, e loro, che mi guardavano, si sono guardati tra loro, e poi sono tornati a guardarmi e avevano gli occhi bagnati, e allora mi hanno risposto: “Siamo innamorati!”. Io mai, mai pensavo a una risposta così “moderna” da una coppia che faceva 60 anni di matrimonio. Sempre tu incontri cose nuove, cose nuove che ti aiutano ad andare avanti.
Poi, un’altra cosa: ho avuto un’esperienza di dialogo con gli anziani, per caso, da ragazzo. Mi piaceva ascoltarli. Una nostra vicina era amante dell’opera, e io da adolescente, 16/17 anni, la accompagnavo all’opera, sì, nel “pollaio” [il loggione], dove era meno costoso… Poi, le mie due nonne, io parlavo tanto con loro: ero curioso della loro vita, mi colpivano. Una cosa che ricordo tanto degli anziani è una signora che veniva a casa ad aiutare mamma a lavare: era una siciliana, immigrata, che aveva due figli; aveva vissuto la guerra, la seconda guerra, e poi se n’era andata con i figli; e lei raccontava storie di guerra, e ho imparato tanto dal dolore di quella gente, cosa significa lasciare il Paese, al punto che questa donna io l’ho accompagnata fino alla morte, a 90 anni. E una volta che c’è stato un distacco, per un atto mio di egoismo l’ho persa di vista, ho sofferto tanto per non trovarla.
E’ stata una bella esperienza, con gli anziani, non mi spaventavano. Stavo sempre con i giovani, ma… E con queste esperienze ho capito la capacità di sognare che hanno gli anziani, perché c’è sempre un consiglio: “Vai così, fai questo…, ti racconto questo, non dimenticarti di questo…”. Un consiglio non imperativo, ma aperto, e con tenerezza. E questi consigli mi davano un po’ il senso della storia e dell’appartenenza. La nostra identità non è la carta d’identità che abbiamo: la nostra identità ha delle radici, e ascoltando gli anziani noi troviamo le nostre radici, come l’albero, che ha le proprie radici per crescere, fiorire, dare frutto. Se tu tagli le radici all’albero, non crescerà, non darà dei frutti, morirà, forse. C’è una poesia – l’ho detto tante volte – una poesia argentina di uno dei nostri grandi poeti, Bernardez, che dice: “Quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che ha di sotterrato”. Ma non un andare alle radici per chiudersi lì, come un conservatore chiuso, no. E’ fare – e questo l’ho sentito nell’Aula del Sinodo, uno di questi vescovi saggi lo ha detto – è fare come il tartufo – è costoso, il tartufo! –: nasce vicino alla radice, assimila tutto e poi, guarda che gioiello, il tartufo! E come fa male alle tasche, per averne uno!
Prendere la linfa dalle radici, le storie, e questo ti dà l’appartenenza a un popolo. E poi questa appartenenza è quello che ti dà l’identità. Se mi dici: perché oggi ci sono tanti giovani “liquidi”?, in questa liquidità culturale che è alla moda, che tu non sai se sono “liquidi” o “gassosi”… Non è colpa loro! E’ colpa di questo staccarsi dalle radici della storia. Ma non si tratta di essere come loro [gli anziani], ma di prendere il succo, come il tartufo, e crescere e andare avanti con la storia. Identità, appartenenza a un popolo.
E un’altra esperienza che ho avuto, già come prete e come vescovo, è quella che fanno i giovani quando vanno a fare visita in una casa di riposo. A Buenos Aires, una piccola esperienza. [I ragazzi dicevano:] “Andiamo là? Ma è noioso, con i vecchi!”. Questa era la prima reazione. Poi vanno, con la chitarra, incominciano… e gli anziani incominciano a svegliarsi, e alla fine sono i giovani che non vogliono più uscire! Continuano a suonare e a suonare perché si crea questo legame.
E infine, la figura biblica: quando Maria e Giuseppe portano il Bambino al Tempio, sono due anziani a riceverli. Quell’uomo saggio [Simeone] che ha sognato tutta la vita di incontrare, di vedere il Liberatore, il Salvatore. E canta quella liturgia, inventa una liturgia di lode a Dio. E quell’anziana [Anna] che stava nel Tempio, con la stessa speranza, e fa la chiacchierona e va dappertutto a dire: “E’ questo, è questo…”, sa trasmettere quello che ha scoperto nell’incontro con Gesù. Quell’immagine dei due vecchi. La Bibbia ripete che sono spinti dallo Spirito. E dice che i giovani, Maria e Giuseppe, con Gesù, vogliono osservare la Legge del Signore. E’ un’immagine molto bella del dialogo e della ricchezza che si dà in questo, che è ricchezza di appartenenza e di identità. Non so se ti ho risposto…
(Foto in alto: l'abbraccio tra il Papa e una donna detenuta nel carcere di CeReSo n. 3 a Ciudad Juarez, durante la visita in Messico del Pontefice nel 2016)