Due momenti di forte impatto emotivo e mediatico hanno segnato il Giovedì Santo di un papa che non cessa di stupirci. Il momento della Messa degli oli, con un’omelia fortemente ispirata dal tema dello “scandalo”, ha inaugurato una giornata sorprendente. Dopo aver detto (a braccio) che siamo in una società in cui prevale la cultura dello scandalo, in particolare nel contesto comunicativo e, non senza ironia, essersi confrontato con l’evento della presenza di Gesù nella sinagoga di Nazareth, affermando che al più sarebbe stato comunicato nelle pagine interne di un qualche giornale locale, Francesco ha sottolineato con forza che “noi non ci scandalizziamo”, perché “non si è scandalizzato Gesù”. Piuttosto si sono scandalizzati gli altri, o, meglio, le persone che avrebbero, dal punto di vista familiare o geografico (ius sanguinis), dovuto essergli più vicine. Di qui la sua parola, che è diventata un proverbio popolare: “Nessuno è profeta in patria!”. Una versione moderna la ritroviamo in Hegel che diceva: “Nessuno è un genio per il suo maggiordomo!”. E questo perché la confidenza del servo, che lo incontra nel quotidiano, gli impedisce di percepire la genialità del padrone.
Non solo “amarezza”, in queste parole del vescovo di Roma ai suoi preti, ma soprattutto vi ho letto “profezia”. Infatti, se ascoltiamo la sua predicazione, rinveniamo una serie di motivi per cui non dobbiamo scandalizzarci, il primo dei quali sta nel fatto che «non si è scandalizzato Gesù dovendo guarire malati e liberare prigionieri in mezzo alle discussioni e alle controversie moralistiche, legalistiche, clericali che suscitava ogni volta che faceva il bene». Ero in uno studio della Radio Vaticana, mentre mi sopraggiungevano queste parole, che per me sono state un pugno nello stomaco. La denuncia del “moralismo”, del “clericalismo” e del “legalismo” non è nuova nel magistero di questo papa, mi ha invece colpito profondamente l’attualità delle sue parole e il contesto in cui sono state pronunziate e mi sono fermato a riflettere sul fatto che evidentemente i richiami di papa Francesco ad evitare questi rischi sono rimasti inascoltati e soprattutto inattuati. Ho balbettato qualche frase di commento, ma le parole restano incise nel mio cuore e nella mia mente, sine glossa, come il Vangelo che papa Francesco cerca di annunziare, in un contesto ostile, quale quello di quanti lo circondano.
Il senso mi è venuto incontro nel momento in cui ho appreso che nel pomeriggio, il Papa si è recato nell’abitazione privata del cardinal Becciu, per celebrare con lui la Messa in coena Domini, proprio mentre in San Pietro, il cardinal Re, decano del Sacro Collegio, presiedeva la stessa celebrazione. Paradossale coincidenza, come paradosso è il Vangelo. Da che parte sta il papa? Dalla parte di Gesù. Ma non per questo dall’altra parte c’è il nemico: “Chi non è contro di noi/voi è per noi/voi!” (Mc 9, 38-40 e Lc 9, 49-50): una parola (= loghion) quasi certamente gesuana, ovvero da attribuirsi al Gesù storico. Ed è il gesto che provoca la conversione. «Dal modo in cui abbracciamo la Croce annunciando il Vangelo – con le opere, se necessario, con le parole – si manifestano due cose: che le sofferenze procurateci dal Vangelo non sono nostre, ma “le sofferenze di Cristo in noi” (2Cor 1, 5) e che “non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore e noi siamo servitori a causa di Gesù”» (2Cor 4,5). Come insegna la Dei Verbum (n. 2) la rivelazione del Dio unitrino in Cristo, trasmessa nella Chiesa, si fa con “gesti” e parole”, col primato dell’evento e del segno concreto che travalica e interpella la nostra eloquenza, la nostra teologia e la stessa predicazione.
Lo scandalo ha fatto irruzione sulle pagine dei giornali e nei media allorché si è appreso del gesto pomeridiano. Nell’omelia del mattino il Papa aveva detto che «la vicinanza di Gesù che va a mangiare con i peccatori guadagna cuori come quello di Zaccheo, quello di Matteo, quello della Samaritana…, ma provoca anche sentimenti di disprezzo in coloro che si credono giusti». Per guadagnare i cuori bisogna andare a mangiare a casa loro, anche se ci si espone al fraintendimento e al disgusto dei perbenisti di turno. E non siamo troppo lontani dal vero se pensiamo che l’iniziativa di questo gesto profetico e rivoluzionario sia stata del papa, così come Gesù si è autoinvitato a casa di Zaccheo: «Oggi devo fermarmi a casa tua!» (Lc 19,1-10 l’intero brano qui v. 5).
Certo restiamo stupiti e questo perché alla nostra povera ragione sfuggono le motivazioni politiche, religiose, culturali di un gesto che la travalica e la interpella e non si lascia catalogare nello schema di interpretazioni moralistiche o dottrinali o giuridiche, che sono non solo opportune, ma necessarie, in altro ambito, ma non in quello dell’annuncio del Vangelo della misericordia, il cui profumo dai vasi degli oli del mattino ha raggiunto il nostro olfatto spirituale nel momento in cui abbiamo appreso questa “buona notizia”.