Dopo dieci anni di indagini, infinite udienze, infiniti rinvii, legittimi impedimenti, malattie, campagne elettorali e Lodo Alfano, il cosiddetto "processo Mediaset" con imputato Silvio Berlusconi si è concluso tra gli scranni della suprema Corte di Cassazione: confermata la condanna a 4 anni di reclusione; rinvio alla Corte d'Appello di Milano per il ricalcolo dell'interdizione dai pubblici uffici.
Se fossimo altrove il discorso si chiuderebbe qui. Un leader politico condannato per frode fiscale negli altri Paesi non si dà, non è nemmeno concepibile: o è evasore o è leader politico. Tutt'e due non è proprio possibile.
Ma siamo in Italia ed è quindi sicuro che il discorso si riaprirà qui, a dispetto di una sentenza che più definitiva non potrebbe essere. Una parte degli italiani, minoritaria ma consistente, non si convincerà mai: per essa, Silvio Berlusconi è sempre una vittima, le toghe che lo indagano sono sempre rosse e i processi che lo riguardano sono sempre politici. Poco conta che per processarlo (in questo caso, perché in altri la sua difesa è riuscita a far andare i processi oltre il tempo massimo) siano occorsi dieci anni, o che per la sua causa si siano battuti ministri (la prima rogatoria internazionale del Processo Mediaset fu respinta dal ministro leghista della Giustizia Castelli), Governi, partiti. E c'è anche una parte d'Italia, forse un po' meno minoritaria, che considera Silvio Berlusconi colpevole di tutto e sempre colpevole, a prescindere da tutto, prove certe e diritti della difesa compresi.
L'una e l'altra Italia si scontrano da vent'anni, sarà meglio non contare troppo su una improvvisa e poco credibile "pacificazione", con il Governo delle "larghe intese" del premier Letta a volte ostaggio e a volte garante. Ma a prescindere dagli umori dei cittadini-elettori, resta la realtà politica. E oggi la palla è in mano al solo Berlusconi. Il condannato è lui ed è lui che deve fare i conti con la propria situazione. Oltre il rituale frastuono della pletora di corifei che lo circonda, non può non sentire il brusio delle domande che crescono: con quale credibilità potrebbe, domani, impostare una qualunque politica finanziaria, chiedendo magari sacrifici agli italiani? Con quale credibilità potrebbe legiferare? Come potrebbe dettare regole e condizioni ai colleghi imprenditori? In che modo potrebbe presentarsi ai contribuenti esasperati che, come ha detto il viceministro all'Economia e al Tesoro Fassina, sono costretti a gabbare il fisco per necessità di sopravvivenza?
C'è poi la domanda che tutti si fanno e che noi invece non vogliamo nemmeno farci: che succederà ora al Governo? Non vogliamo nemmeno pensare che un uomo in preda alla rabbia e al rancore possa decidere di togliere al Paese intero, per una mera vendetta personale, l'unica parvenza di guida che oggi abbiamo. Una ripetizione del "muoia Sansone con tutti i filistei" che vedrebbe però gli italiani (compresi quel 40% di giovani che non trova lavoro e i milioni di famiglie impoverite dalla crisi) nei panni dei filistei. Ecco, questa davvero sarebbe una cosa che non potremmo permetterci. Né, soprattutto, permettere.