«Il risultato del voto è chiaro, le conseguenze no». Un giudizio netto. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, l’ha formulato nell’editoriale dello scorso 6 marzo, dal titolo “Rivoluzione in corso”. Lo stesso giorno, l’agenzia di stampa Sir ha aperto il dibattito interno al variegato mondo dei credenti («I risultati elettorali impongono una profonda riflessione a tutti, vincitori e vinti»), sottolineando «la necessità di una nuova e migliore offerta politica per i cattolici».
All’analisi dei risultati, la Conferenza episcopale italiana (Cei) dedicherà sicuramente tempo e spazio negli appuntamenti già fissati da tempo in agenda: le Presidenze nazionali (il 19 marzo e il 21 maggio), il Consiglio episcopale permanente (19-21 marzo) e l’Assemblea generale, in calendario dal 21 al 24 maggio. La Cei svilupperà la consegna affidatale dal suo presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia: «Ricostruire la speranza, ricucire il Paese, pacificare la società». Famiglia Cristiana ha voluto sondare gli umori di tre pastori impegnati in altrettante realtà rappresentative del Paese, una al Nord, una al Centro e una al Sud: monsignor Derio Olivero, 57 anni, vescovo di Pinerolo (Torino), monsignor Nazzareno Marconi, 60 anni, vescovo di Macerata, e monsignor Vincenzo Bertolone, 71 anni, arcivescovo di Catanzaro e presidente della Conferenza episcopale calabra. Abbiamo rivolto loro tre domande. Ecco le loro risposte.
L’associazionismo cattolico in questa tornata elettorale è praticamente scomparso dal Parlamento. Come valutare questa assenza? E che futuro può profilarsi?
BERTOLONE: «Vale la pena chiedersi, con don Milani, che senso abbia avere le mani pulite e tenersele in tasca, quando invece quello che occorre è sentirsi responsabili e agire di conseguenza. Di tutto. Soprattutto in un momento storico caratterizzato da forme di violenza, pure politica, e da una propaganda che stravolge la storia. Il concilio Vaticano II ammoniva: “I cattolici esperti in politica (…) non ricusino le cariche pubbliche, potendo provvedere al bene comune e al tempo stesso aprire la via al Vangelo” (AA n. 14)...”. Un partito solo dei cattolici non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma, un cattolico può fare politica? Deve! Ma un cattolico può immischiarsi in politica? Deve!”. Così papa Francesco. Un impegno, quasi una chiamata, ai quali un cristiano è tenuto a rispondere affermativamente per rigenerare l’impegno dei cattolici in politica, per recuperare il rapporto vitale tra legge e bene comune, armonizzare l’interdipendenza tra diritti e doveri e per promuovere la cultura attiva e responsabile della partecipazione alla vita pubblica e sociale. Traguardi difficili, ma dai quali un cristiano non deve abdicare se non vuole arrendersi di fronte alla triste evidenza descritta da Pier Paolo Pasolini: “In Italia il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili”».
MARCONI: «L’associazionismo, cioè l’impegno organizzato e feriale nella azione e nella riflessione sulla fede, basato sulla convinzione e non solo sull’emozione, è in crisi da tanto tempo, i numeri reali stanno svanendo, anche se le sigle restano. Mancando i numeri, diventa di conseguenza sempre più difficile la presenza politica. Il motivo semplice di questa crisi è che l’associazionismo, soprattutto cattolico, è difficile. Bonhoeffer ne La vita comune insegna che creare una comunità psichica, cioè emotiva, guidata da un leader carismatico, innamorata di ideali sanciti da slogan, è molto più facile rispetto a creare una comunità pneumatica, cioè animata dallo Spirito, che si confronta con la durezza della Parola e con la Croce dell’impegno quotidiano, dove le persone restano interiormente libere e faticosamente costruiscono l’unità attraverso il dialogo e la rappresentanza democratica. Questo fatto trova un parallelo anche nella scomparsa dei partiti come luoghi di confronto quotidiano, a favore di comitati elettorali che compaiono pochi mesi prima delle elezioni e vivono dell’attrazione di un leader. Così però una democrazia veramente partecipativa ed espressione di un popolo non si realizza. Per quel poco che posso capire non è saggio cercare scorciatoie o soluzioni miracolose. C’è da ricostruire prima un associazionismo vero, che nasce da una fede solida».
OLIVERO: «È un impoverimento. E mi addolora. I cattolici sono minoranza. Il voto del 4 marzo ce lo ribadisce con cruda schiettezza. Qualcuno, tra noi, pare non rendersene conto fino in fondo. È come se si fosse addormentato la sera dell’11 maggio 1974, alla vigilia del referendum sul divorzio, e da allora non si sia più voluto svegliare. In questi decenni, il mondo cattolico ha preso schiaffi ed è arretrato in quanto a percentuali, presenza e incisività. Per rimediare, le scuole di politica sono utili, ma non sufficienti. Abbiamo adottato linguaggi nuovi nel campo della spiritualità, della catechesi e della liturgia. Ritengo, però, che siamo drammaticamente indietro nel dialogo con i tempi che viviamo, anche se qualcosa si muove. Ricordo una Settimana sociale “politicamente” forte. Settembre 1993. Tangentopoli, la fine della Prima Repubblica, l’avvento rumoroso della Lega: la Chiesa italiana organizzò a Torino la 42ma Settimana sociale scegliendo come tema “Identità nazionale, democrazia e bene comune”. Un modo per intimare l’altolà a Bossi allora apparentemente inarrestabile. Qualche mese fa, un’altra Settimana sociale mi ha fatto ben sperare per analisi e per proposte: quella svoltasi a Cagliari, sul lavoro, una piaga sanguinante».
Si sente l’esigenza di un nuovo partito dei cattolici?
BERTOLONE: «Qualsiasi risposta potrebbe suonare illogica, dal momento che, se non esistono più i partiti, come potrebbe esistere un partito dei cattolici? Mi domando allora: e se invece si creassero le condizioni per vari approdi, nuovi e unitari dei cattolici? Non lo considererei personalmente un male, se nel solco del solidarismo sturziano e dell’europeismo degasperiano. Ma, ancor più di questo, credo sia avvertito il bisogno di cattolici autentici impegnati in politica».
MARCONI: «Un mio amico e maestro alla domanda: “Come si evangelizza la politica?” rispondeva: “Mettendo dentro la realtà politica degli uomini evangelizzati”. Cioè persone capaci di un discernimento coraggioso di idee, progetti e scelte, fondato sul Vangelo. Da non confondere con persone semplicemente devote e religiose. Una “placcatura oro” di devozione salta subito davanti a scelte che per la coerenza del Vangelo mettono in crisi, almeno nel breve periodo, il potere, il successo, la soddisfazione personale. Che queste persone siano tutte in un partito è meno importante del fatto che ci siano persone così nei partiti.
OLIVERO: «Non ho nessuna nostalgia della Dc. I cattolici possono tranquillamente far politica in ordine sparso, ma non senza idee o rinunciando alla coerenza tra fede e vita. L’essere una minoranza non rancorosa comporta l’essere profeti e testimoni, senza sentirsi padroni di niente e di nessuno».
C’è un pericolo di estremismi che contraddicono i valori cristiani? Magari anche tra quanti a parole dicono di volerne difendere le radici?
BERTOLONE: «Nel 1964 Norberto Bobbio scriveva: “La nostra democrazia è minata. E i nostri rappresentanti mi fanno l’effetto di minatori incoscienti che si mettono a fumare sigarette in una miniera piena di grisou”. La comunità ha smarrito il senso dell’unità e le istituzioni sono viste quasi ostili, inutili, distanti. Dovremmo, invece, essere consapevoli che abbiamo quella “Carta” che ci accomuna, tutti. Ora penso che la radicalità evangelica possa contribuire a ricostruire la speranza e l’idea stessa di Repubblica e democrazia».
MARCONI: «I nemici più pericolosi del Vangelo, da cui è sempre bene guardarsi, sono fin dai tempi dell’Ultima Cena i falsi amici. Illudersi che non si corra il rischio di trovare persone e gruppi che strumentalizzano la fede per altri fini è da ingenui, e Gesù ha sempre chiesto di essere vigilanti».
OLIVERO: «La paura – delle conseguenze della crisi, degli altri, del futuro – va capita, affrontata, gestita. E non cavalcata a fini elettorali. Quando parliamo di valori temo che noi cattolici paghiamo lo scotto degli anni in cui siamo stati identificati come quelli che li selezionavano, difendendo solo quelli “non negoziabili”. Il cardinale Bassetti ci ha ricordato che “la vita non si uccide, non si compra, non si sfrutta e non si odia”. I valori da difendere sono dunque tanti: la democrazia, innanzitutto, e poi la coesione sociale, l’integrazione di chi arriva da Paesi lontani, la famiglia, il diritto a nascere e il diritto a morire con dignità e amore, la pace e il disarmo».
(foto in alto: Ansa, Facebook)