E così, la decisione con cui l'Unesco ha inserito la Basilica della Natività e la Via del Pellegrinaggio nella lista dei siti che formano il Patrimonio dell'Umanità sarebbe una "decisione politica", come ripetono i portavoce dei Governi di Usa e Israele.
Se non fossimo alle prese con problemi drammatici, potremmo anche metterci a ridere. Betlemme, la città dove per entrare bisogna passare un check point di militari armati e attraversare una barriera alta sei metri, potrebbe mai ospitare decisioni non politiche? La città dove un bambino bisognoso di un intervento chirurgico può aspettare anche settimane prima di poter andare da un lato all'altro della barriera, e magari rischiare la vita nell'attesa di una carta che gli permetta di fare meno di un chilometro?
VIDEO
Da quelle parti tutto è politica. Come fu tutta politica la decisione degli Usa di bloccare con il veto in Consiglio di Sicurezza la mozione per riconoscere la Palestina come Stato autonomo, approvata dalla gran parte dei Paesi membri dell'Onu. O come quella di smettere di finanziare l'Unesco dopo che questa, unica agenzia Onu, decise comunque di accettare nei suoi ranghi la Palestina.
Quindi: certo, quella dell'Unesco è stata una decisione anche politica. Una decisione che scalfisce (niente più) lo status quo in cui è Israele a decidere tutto, anche per i palestinesi, per la loro vita economica e sociale, per la storia e la cura del territorio. Sull'altro lato di questo "anche" c'è l'oggettivo bisogno che la Basilica mostra di cure e restauri urgenti. Un bisogno che nessuno può negare.
Detto questo, e proprio perché interviene su uno status quo ormai stratificato, la decisione dell'Unesco presenta tutta una serie di risvolti delicati e di conseguenze che devono ancora essere pienamente valutate. Se l'Unesco riconosce la Palestina, sarà poi il Governo palestinese (magari su sollecitazione della stessa Agenzia Onu)a occuparsi della Basilica? La Basilica della natività di Cristo diventerà un monumento palestinese?
E' una prospettiva a cui guardano con evidente preoccupazione sia il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, sia gli esponenti delle altre Chiese cristiane (ortodossa e armena) che si dividono la gestione della Basilica. Il presidente palestinese Abu Mazen ha già garantito la propria "neutralità" ed è certo, almeno dal punto di vista politico, che non farà nulla per alienarsi le comunità e le gerarchie cristiane. Ma il rischio oggettivamente esiste. Anche perché i palestinesi, sconfitti e piegati e quindi sempre assetati di rivincite, hanno subito "spiegato" il riconoscimento Unesco alla Basilica come una critica all'occupazione di Israele che, come sempre, serve anche a giustificare le inettitudini e le divisioni di casa propria.
Così come non va sottovalutato il rischio di una deriva nell'uso dello strumento. Qualcuno aveva addirittura pensato a qualificare l'intera Betlemme come Patrimonio dell'Umanità. La cosa avrebbe certo alleggerito la pressione sulla Basilica e sulle Chiese ma avrebbe enfatizzato la contesa politica. Patrimonio dell'Umanità un luogo a cui, almeno in teoria, un qualunque soldato può vietare l'accesso?
In una regione in cui l'archeologia si trasforma spesso e volentieri in una ramo della propaganda di regime, e in una terra oggettivamente ricca di testimonianze preziose, la battaglia culturale non è meno importante delle battaglie militari. Rischia, anzi, di lasciare segni ancor più pesanti e duraturi.
Dieci anni fa padre Ibrahim Faltas, francescano, in quel periodo parroco di Betlemme, visse nella Basilica della Natività i 39 giorni dell'assedio posto dalle truppe israeliane per inseguire un gruppo di militanti armati palestinesi. Per ricordare quei fatti, padre Ibrahim ha scritto un libro intitolato "Dall'assedio della Basilica all'assedio della città". Ospitiamo qui un suo intervento.
“Sono trascorsi dieci anni dall’Assedio della Basilica della Natività… Vogliamo fare un evento grande per far capire a
tutto il mondo che queste cose non devono più ripetersi…”. “I trentanove giorni
dell’Assedio della Basilica sono entrati nella storia dei cristiani in Terra
Santa…; è nostro dovere fare memoria e ricordare”.
Quest’idea e questa promessa nacquero esattamente
un anno fa, nel luglio del 2011, da un mio incontro con monsignor Pietro Sambi. Ci salutammo e ci demmo appuntamento a maggio 2012 a
Betlemme. Ma purtroppo monsignor Sambi è deceduto un mese dopo il nostro incontro.
Siamo giunti così a sabato 5 maggio 2012, al Convention Palace di Ortas in Betlemme e
veniamo accolti dal suono festoso delle cornamuse e dei tamburi degli scouts
che ci anticipano che c’è aria di festa, di qualcosa di speciale.
Qui la
comunità cristiana si è ritrovata per accogliere la reliquia del Beato Giovanni Paolo, donata alla Custodia di Terra Santa, per un
legame intenso e filiale che il Grande Papa aveva con la Terra di Gesù: egli
la definiva sempre la terra dove c’è un “Mistero”. Giovanni Paolo II, durante i 39 giorni
dell’Assedio della Natività, ci fu particolarmente vicino,
con i suoi accorati appelli giornalieri alla comunità internazionale per far
cessare l’occupazione israeliana, esortando tutti a ricondurre i cuori a
pensieri di pace.
Gli abitanti di Betlemme hanno molto amato Giovanni Paolo II
e con profonda fede hanno pregato sino a tardi sera dinnazi alla reliquia,
esposta in una cappella allestita per l’occasione.
La giornata ha avuto inizio al Palazzo del Presidente a Betlemme,con un caloroso benvenuto da parte delle
autorità palestinesi a tutte le delegazioni presenti, dove si è voluto
sottolineare il forte legame tra Italia e Palestina che si è instaurato in
questi dieci anni, ricordando come l’opera francescana sia sempre stata fonte di
dialogo e di rispetto tra tutti.
La sala del Convention Palace gremita di gente
ha accolto le numerose autorità che hanno presenziato: il segretario generale dell'Autorità palestinese, Al-Tayeb
Abd Al-Rahim, con numerosi
esponenti del governo palestinese, l’onorevole Rosy Bindi a rappresentare il Parlamento italiano, il generale Jibril Rajoub, Presidente del Comitato Olimpico
Palestinese, il Nunzio Apostolico Monsignor Antonio Franco, il Custode Pierbattista
Pizzaballa, la sorella di monsignor Sambi, e moltissimi italiani ed amici che in questi dieci anni si
sono prodigati a dare sostegno e solidarietà a Betlemme.
I vari interventi delle autorità hanno sempre sottolineato l’importanza di non demordere e continuare a sperare in un futuro possibile di pace, seguendo l’esempio di grandi testimoni che ci hanno preceduto: Giovanni Paolo II, Yasser Arafat, monsignor Pietro Sambi, Padre Giovanni Battistelli, Padre Joannes Simon, con la loro vita e il loro carisma sono stati per tutti pilastri importanti per una nuova storia di speranza per Betlemme.
E’ a loro che ho dedicato il libro Dall’assedio della Basilica all’assedio della Città, che oltre a riportare il mio diario dei 39 lunghi giorni dell’assedio dedica una parte importante a questi uomini di pace per aver svolto un ruolo fondamentale durante l’occupazione della Basilica. Il libro parla anche della missione francescana a Betlemme prima e dopo l’assedio, sino ad oggi, quando la vita quotidiana della gente è vincolata dal muro di separazione. Nella sala, affollatissima, è sceso un silenzio denso di commozione quando è stato proiettato un film con le testimonianze di coloro che hanno vissuto l’assedio e lo hanno raccontato davanti alle telecamere.
Scioccanti sono state le immagini scattate da alcuni fotografi amatoriali all’interno della basilica e molte altre che documentano l’assedio israeliano, hanno avuto un impatto molto forte, poiche’ la Piazza della Mangiatoia occupata dai carri armati e le strade di Betlemme distrutte sono una visione un po’ insolita per la città che ricorda la nascita di Gesu’ Bambino.
Ma il messaggio conclusivo del filmato di Giovanni Paolo II ci riapre alla speranza, ricordandoci che dobbiamo abbattere i muri e costruire ponti. I muri ci sono ancora, ma la missione francescana si adopera con tutte le risorse a far si che il muro non entri nel cuore e nella mente delle persone, con il tentativo di rimuovere ogni ostacolo per infondere la speranza in un futuro migliore. Sono trascorsi dieci anni dalla fine dell’Assedio della Basilica della Natività, per tutti noi fa parte di un passaggio triste della nostra vita, ma da cui abbiamo imparato che solo sulla verità di Dio e dell’uomo poggiano le fondamenta di un’autentica pace. Noi francescani e Betlemme abbiamo voluto ricordare questi dieci anni dalla fine dell’assedio della Nativita’ attraverso le parole di Giovanni Paolo II, oggi vogliamo fare nostre le Sue parole, affinché proseguiamo nella nostra missione: non abbiate paura di annunciare il Vangelo, non abbiate paura di essere giovani, non abbiate paura della Verità!