Domandone da Rischiatutto: qual è il
programma più visto della Tv italiana? Non è una partita di calcio dell’Italia.
E non è nemmeno una fi
nale
del Festival di Sanremo. La risposta
è: lo sceneggiato Dov’è Anna?, andato
in onda nel 1976 e seguito nell’ultima delle
sette puntate da 28 milioni di spettatori. È vero,
allora c’erano solo due canali disponibili e non
c’era l’Auditel, ma secondo Biagio Proietti, che
l’ha scritto insieme alla moglie, «le rilevazioni
degli ascolti erano molto accurate. La Rai telefonava
direttamente agli italiani per sapere se
avevano visto un programma e quanto gli era
piaciuto. E poi c’era un accordo con l’Enel che
comunicava i consumi di energia elettrica: durante
eventi come i Campionati del mondo di
calcio i contatori schizzavano perché tutti erano
incollati alla Tv».
Proietti conosce queste cose perché in Rai
ci ha passato una vita, come autore e regista di
sceneggiati. Un genere a cui, con la complicità di
Maurizio Gianotti, un’altra vecchia volpe di viale
Mazzini, ha dedicato un gustoso saggio, Il segno
del telecomando, titolo che omaggia un’altra
delle serie più note di quel glorioso periodo, Il segno
del comando, con Carla Gravina e Ugo Pagliai.
Nel marzo del 1954 la Rai ha iniziato le trasmissioni
da appena tre mesi. Una domenica
va in onda Delitto e castigo, sceneggiato tratto
dal romanzo di Dostoevskij. Un’unica puntata
trasmessa in diretta, lunga quattro ore e un
quarto, con Giorgio Albertazzi nei panni del
protagonista Raskolnikov. Da allora milioni
di italiani, molti dei quali analfabeti, hanno
potuto scoprire i classici della letteratura,
da Cime tempestose a Orgoglio e pregiudizio, da
Mastro don Gesualdo a Piccolo mondo antico.
Realizzazioni che potevano sempre contare su
cast strepitosi: solo per fare un esempio, nelle
sei puntate de L’idiota andate in onda nel 1959
c’erano Albertazzi, Anna Proclemer, Gian Maria
Volonté e Anna Maria Guarnieri.
«La televisione entrò a casa nostra nel
1958», ricorda Proietti. «Avevo 18 anni e la prima
cosa che vidi fu una bellissima Traviata. I
dirigenti della Rai di allora pensavano che la
Tv avesse una missione ben precisa: educare
gli italiani e farli crescere culturalmente. Per
questo offrivano loro di tutto, cercando il massimo della qualità. E il pubblico rispondeva alla
grande: si andava nei bar a vedere non solo Lascia
o raddoppia?, ma anche I fratelli Karamazov. E
molta gente, dopo aver visto lo sceneggiato, poi
si comprava il tascabile da cui era stato tratto».
Con gli anni gli sceneggiati iniziarono a
essere girati anche in esterni e ampliarono il
loro spettro narrativo con produzioni a tema
mitologico, religioso, fantastico, poliziesco.
Proietti si specializzò su quest’ultimo genere.
«Una miniera per noi sceneggiatori furono i
gialli scritti dall’inglese Francis Durbridge per
la Bbc. Un giorno mi chiamarono per propormi
uno sceneggiato tratto da un suo personaggio,
Henry Brent. Sottoposi il copione ad Alberto
Lupo, che era diventato un divo con La cittadella,
ma a lui di interpretare un poliziotto di paese
non andava. Allora riscrissi tutto da capo e
alla
fine l’ho fatto pure morire. Però così ad Alberto
piacque e piacque tantissimo anche agli
italiani tanto che facemmo insieme anche un
altro giallo, Come un uragano».
Arriviamo così a Dov’è Anna?, nato tutto
dalla fantasia di Proietti e della moglie Diana
Crispo. E questo fu uno dei motivi del suo fenomenale
successo: «I gialli
fino ad allora erano
ambientati in un luogo esotico con un poliziotto
protagonista. Noi invece scegliemmo
di girare a Roma e di raccontare la storia di un
uomo qualunque che indaga sulla scomparsa
della moglie. L’identifi
cazione del pubblico fu
totale». E poi c’era pure il risvolto sociale: «Nei
vari episodi affrontavamo temi scottanti
come l’adozione dei bambini e la malattia
mentale. C’era la suspense, ma pure la denuncia
e la gente il giorno dopo ne parlava. Furono
settimane incredibili: la domenica andava in
onda Sandokan e il martedì Dov’è Anna?, sempre
seguiti da oltre 20 milioni di spettatori».
Ma quella gloriosa stagione stava per
finire con l’avvento delle Tv private e la conseguente
invasione dei tele
film americani.
Non a caso gli addetti ai lavori per de
finire i
prodotti realizzati dagli anni Ottanta in poi
parlano di fi
ction e non più di sceneggiato.
L’ultimo è stato La piovra, la cui prima serie
andò in onda nel 1984 con la regia di Damiano
Damiani e Michele Placido nei panni del commissario
Cattani. «Era una grande produzione
con un respiro cinematografi
co. Che infatti è
stata venduta in tutto il mondo».
Cosa resta di quella formidabile eredità?
«La maggior parte delle fiction attuali non
mi convincono: sembrano troppo costruite
a tavolino, con colpi di scena prevedibili. E poi
sono in genere semplicistiche, troppo rassicuranti,
con i buoni e i cattivi sempre ben delineati:
non hanno il coraggio di affondare nella
complessità della realtà come fa un romanzo.
Cosa mi piace? Il commissario Montalbano e Gomorra.
Non a caso sono serie tratte da opere letterarie.
Come i vecchi sceneggiati».