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martedì 08 ottobre 2024
 
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Bibbia: tutti ce l'hanno, pochi la leggono

30/05/2015  Ilvo Diamanti presenta al Festival biblico la ricerca "Gli italiani e la Bibbia". Risultati sempre interessanti, spesso sorprendenti e a volte anche comici.

Da sinistra: Luigi Ceccarini, Ilvo Diamanti, Pier Luigi Cabri, don Alfio Filippi (foto R. Gobbo).
Da sinistra: Luigi Ceccarini, Ilvo Diamanti, Pier Luigi Cabri, don Alfio Filippi (foto R. Gobbo).

«C'è chi pensa che “mogli e buoi dei paesi tuoi” sia un passo della Bibbia»: scatena l'ilarità del pubblico, Ilvo Diamanti. Per qualcun altro è “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi” a essere contenuto nel libro sacro. Il noto sociologo è intervenuto al Festival Biblico di Vicenza, per raccontare, assieme al collega Luigi Ceccarini e al biblista Alfio Filippi (con il teologo Pier Luigi Cabri a far da moderatore), l'indagine sociologica “Gli italiani e la Bibbia”, diventata un libro di nove capitoli (per i tipi della EDB), che esplora proprio il rapporto dell'uomo con la Bibbia. Un testo che per alcuni contiene i discorsi del Papa, per altri i documenti del Concilio Vaticano II. Che, se ovviamente non vi sono, hanno però contribuito a farla conoscere; la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (Dei Verbum) sollecita, infatti, “ad un contatto assiduo con la Bibbia, invocandone la diffusione e la lettura”.

Pertanto, se gli italiani dimostrano di essere un po' deficitari rispetto al contenuto - solo il 27% sa elencare i libri di cui il testo sacro è costituito -, non mancano di averlo in casa. Nell'indagine è stato coinvolto un campione di 1.500 persone, attraverso interviste telefoniche. È emerso che la Bibbia è il libro più diffuso in assoluto, con 8 famiglie su 10 che ne hanno una. Il 30% dice di averla letta, il 70% di averla ascoltata, a messa, alla radio o alla tv, e qualcuno ce l'ha come App sul  telefonino.

Il primo “granchio” gli italiani lo prendono con il nome. «Per la maggior parte - spiega Ceccarini -, Bibbia significa testimonianza, quando invece significa semplicemente libro. L'altra convinzione è che la Bibbia sia il testo sacro dei cattolici (non dei cristiani), mentre pochi sanno che è anche degli ebrei. Il fatto che il riferimento sia ai cattolici e non ai cristiani, evidenzia che la Bibbia è parte della nostra cultura, della nostra storia, quindi si intreccia con la nostra tradizione cattolica. La sua presenza nelle case è trasversale anche all'orientamento politico. Il voto medio che abbiamo dato agli italiani (il gruppo di lavoro era composto, oltre che da Diamanti e Ceccarini, anche da Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani) rispetto alla loro conoscenza dei contenuti biblici è stato 5,9, sufficiente. Media significa che 1 su 4 prende da zero a 4, ma anche che il 24% prende un voto da 7 a 10. Altro dato interessante è che viene letta anche dai non praticanti, da quanti, cioè, non hanno la religione come prospettiva fondamentale della loro vita. Ognuno parte da sé stesso per trovarvi un senso: il credente vi trova un significato spirituale, chi non lo è, un significato etnico-culturale, un modo per sentirsi parte di una comunità».

Ma i risultati di questa indagine rispondono alle aspettative del biblista? Padre Alfio di Bibbia se ne intende perché per vent'anni è stato direttore delle Edizioni Dehoniane, che nel 1974 stamparono “La Bibbia di Gerusalemme” (riedita nel 2009), tradotta in 12 lingue e pubblicata in una quarantina di Paesi del mondo. «Mi colpisce - dice padre Alfio - che la Bibbia sia presente come oggetto nelle case, ma gli italiani non ne conoscano il contenuto. A livello di studio e di approfondimento religioso, la Bibbia è una specie di deserto per i nostri concittadini. Il titolo potrebbe essere “Il cavallo che non c'è”, con riferimento al dipinto del Caravaggio che immortala la caduta da cavallo di Paolo a Damasco. Ma nella Bibbia, il cavallo non c'è. Negli Atti degli Apostoli, sono tre i racconti in cui Paolo riporta ciò che ha vissuto a Damasco, ma mai vi è nominato un cavallo. Eppure tutta l'arte italiana è costruita su un cavallo. E poi la nostra liturgia il 25 gennaio ricorda l'evento della conversione di S. Paolo, ma la Bibbia non usa mai la parola conversione per indicare ciò che è accaduto a Paolo a Damasco. Paolo era ebreo e tale è rimasto per tutta la vita. Credeva nel Signore Gesù, ma non si è mai convertito.

La più grande riforma del Vaticano II è stata quella liturgica; ha imposto che, in ogni celebrazione in chiesa, anche qualora non vi sia la messa, dev'esserci la lettura del testo biblico. Perché, se un cristiano non conosce la Bibbia, è un cristiano amputato. La Bibbia è il luogo dove il cristiano costruisce la sua identità. Nella scuola italiana, però non si insegna, in altri Paesi europei, sì. Eppure, senza il retroterra biblico, noi non possiamo capire la nostra arte, la nostra cultura, neppure il nostro essere cristiani. Sfido chiunque a capire Dante se non conosce la Bibbia».

«Perché la gente legge la Bibbia, o perché dice di farlo?» Si chiede Diamanti. «Un 30% di persone che dice di leggere la Bibbia, è molto. In Italia - ricordiamolo - non si leggono né libri, né giornali. Io credo che il rapporto dell'italiano con la Bibbia sia lo stesso del suo rapporto con il cattolicesimo. In Italia quasi tutti si dicono cattolici, perché è un tratto caratteristico della nostra storia, della nostra cultura.

Il nostro paesaggio è costellato di campanili, il Veneto è sempre stato la “sacrestia d'Italia”. Allora la Bibbia diventa il testo che definisce il nostro contesto. Poi ciascuno di noi intrattiene con la Sacra Scrittura un proprio particolare rapporto. Qual è il rischio? Che vada bene tutto e il contrario di tutto. Che la religione diventi un cattolicesimo-bricolage, del fai da te».

 

 

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